Una regione che rischia di restare immobile

Auto in coda all'ingresso della città di Perugia
PERUGIA - Ma l’Umbria, verso dove va? Quali sono le prospettive socioeconomiche di questa Regione in un contesto mondiale e nazionale in forte evoluzione? Nonostante...

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PERUGIA - Ma l’Umbria, verso dove va? Quali sono le prospettive socioeconomiche di questa Regione in un contesto mondiale e nazionale in forte evoluzione? Nonostante dai diversi enti arrivino dati statistici molto preoccupanti (Pil in caduta libera, tasso di povertà in aumento, redditività delle piccole e medie imprese in deciso calo), si ha la sensazione che ciò lasci totalmente indifferenti tutte le parti socio-istituzionali.

In altri termini, a fronte di segnali e indicatori allarmanti, la reazione sembra essere un’impressionante stagnazione. Se poi si vanno ad esaminare i diversi settori portanti, la percezione di un lassismo o comunque di un vivere alla giornata appare ancora più evidente. L’esempio più macroscopico è quello della sanità che pur consumando l’85% del bilancio regionale e soprattutto costituendo uno degli ambiti di maggior interesse per ognuno di noi, è rimasta completamente ferma.
 A questo riguardo, sia sul piano della macro-organizzazione, sia su quello delle scelte più semplici, nulla si muove. Le aziende sanitarie continuano ad essere un numero esagerato e irragionevole, vi sono una marea di duplicazioni e il paradosso è che non si riescono a nominare nemmeno i tantissimi posti da primario ormai vacanti da tempo. Se il caso della sanità è emblematico, la situazione non cambia se si passa ad altri settori strategici, il primo tra tutti quello infrastrutturale. Mentre si chiacchiera tanto, dall’Umbria non si riesce a partire né qui è facile arrivare; né con il treno né con gli aerei.
Se si ha la sfortuna di imbattersi nelle ore sbagliate in quel nodo infernale che è l’area di Ponte San Giovanni dove confluiscono gli assi della Orte-Cesena e della Bettolle-Foligno, si coglie in maniera concreta la mancanza di idee di chi avrebbe dovuto disegnare l’Umbria di oggi.
Per non parlare poi della ricostruzione post-terremoto 2016: stiamo assistendo ad un fallimento annunciato. Tra proteste dei terremotati e dimissioni dei sindaci, facendo come i gamberi la strada al contrario, si è riusciti a disperdere la positiva esperienza del 1997 e a creare una situazione di sostanziale stallo. Come in una squadra di calcio, magari anche piena di potenziali campioni, l’assenza del playmaker rende il gruppo vulnerabile, così appare l’Umbria. Mancano le idee di medio e lungo periodo e manca soprattutto chi possa coordinare e dirigere questa delicata fase di proiezione verso il domani.

Da ultimo, ed è paradossale, coloro che meglio sembra abbiano percepito la gravità della situazione, sono i sindacati tradizionali, Cgil in primis, che in più occasioni hanno lanciato grida di allarme partendo dai drammatici dati statistici e cercando di provocare una reazione. Il resto del panorama istituzionale e delle altre parti sociali, Confindustria compresa, è sostanzialmente sordo e muto rispetto a quella che appare essere una lenta e costante discesa che porta verso l’oblio. Insomma, cercarsi disperatamente un Totti del domani per l’Umbria. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero