Produce kit per sale operatorie e vende mascherine a prezzi etici: «Non dimentico da dove sono partita»

Produce kit per sale operatorie e vende mascherine a prezzi etici: «Non dimentico da dove sono partita»
CASTEL RITALDI Ha iniziato in una stanzetta di sgombero della casa,...

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CASTEL RITALDI Ha iniziato in una stanzetta di sgombero della casa, poi in garage. E ora, vent’anni dopo, è al timone di un’azienda che è fiore all’occhiello nella produzione di kit per sale operatorie, tra le pochissime in Italia ad aver ottenuto l’apposita certificazione ministeriale. La storia di Alessandra Passeri, 46enne di Castel Ritaldi, sembra ispirata a una fiaba: un po’ Cenerentola e un po’ formica, anche se nel successo dell’imprenditrice umbra a fare la differenza non è stato l’incontro con il principe azzurro, ma un percorso costruito a piccoli passi, con impegno, sacrificio e coraggio. La sua azienda, che attualmente si articola in tre sedi operative e una trentina di dipendenti (con prospettiva di nuove assunzioni»), è una delle poche in Umbria in cui è possibile trovare le mascherine Ffp2 per bambini, che nonostante la grandissima richiesta vengono vendute a prezzo calmierato. La sua politica aziendale è infatti improntata all’etica: tutti i dipendenti hanno contratto a tempo indeterminato e non si lucra sulle necessità. «Lavorando per il settore sanitario da tantissimi anni – premette – non posso negare che l’emergenza covid abbia dato una svolta importante alla mia attività, consentendomi di ampliare e anche di diversificare le produzioni. Ho investito ogni singolo euro guadagnato in questi due anni, prefiggendomi nuovi obiettivi anche per dare certezze ai miei dipendenti». Sebbene le sue produzioni siano destinate principalmente ad ospedali e cliniche, Alessandra ha scelto però di continuare a importare mascherine Ffp2, che rivende a prezzi modici: «Non è quella la nostra attività – racconta – quindi lo facciamo per dare un servizio e non per chissà qualche guadagno. La nostra produzione di mascherine – racconta – si è limitata alle monouso facciali, circa un milione e mezzo di pezzi, in piena emergenza: per realizzarle abbiamo coinvolto i lavoratori di quelle attività tessili bloccate dal lockdown». Non tutto, però, è stato facile e Alessandra si commuove ancora oggi a pensare ai momenti bui vissuti qualche anno fa: «Lavoravo per conto terzi – racconta - e avevo appena acquistato il primo capannone: l’azienda che mi dava l’80 per cento del lavoro è fallita dalla sera alla mattina. Con tre figli, una ventina di dipendenti e un mutuo sulle spalle, per me è stata durissima. Non mi sono persa d’animo e ai miei dipendenti non ho tolto un’ora di lavoro, impiegandoli nel trasloco: il giorno lavoravo e la notte piangevo, seduta sul letto. Ora mi sono riscattata e vado avanti con grande orgoglio, sapendo che nessuno mi ha regalato niente».

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Il Messaggero