'Ndrangheta a Perugia: «Con la massoneria mille riferimenti»

'Ndrangheta a Perugia: «Con la massoneria mille riferimenti»
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PERUGIA - L’imprenditore, il mondo della massoneria, il boss. Interessi confluenti e un’inquietante similitudine con il controllo del territorio in Calabria. Le centinaia di pagine della maxi inchiesta che squarcia il velo sulla presenza della ‘Ndrangheta a Perugia raccontano di «mille riferimenti» nel tempo intercorsi tra personaggi considerati di riferimento della «società di ndrangheta di Siderno, al cui interno opera criminalmente la cosca “Commisso” di Siderno» e il mondo perugino e umbro della massoneria. Il versante è quello delle indagini condotte dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, con il giudice per le indagini preliminari Giovanna Sergi che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per al presunto super boss Cosimo Commisso e ancora Francesco Commisso, Giuseppe Minnici e Antonio Rodà.


Va sottolineato come al momento nessun altro risulti indagato e come, ovviamente, tutte le accuse mosse e i riferimenti “captati” dagli investigatori siano da dimostrare. Minnici e Rodà nelle carte dell’inchiesta vengono definiti come personaggi di riferimento nel mondo imprenditoriale e manageriale tra Umbria e Toscana. Rodà, in particolare, secondo gli investigatori «ha rivestito un importante ruolo di congiunzione tra i soggetti associati alla consorteria di ‘ndrnagheta e la persona di Cosimo Commisso, alias “u quagghia”». Ancora «rappresenta l’imprenditore di riferimento dell’organizzazione, soprattutto in Umbria...nello svolgimento delle attività lecite e illecite riconducibili al sodalizio».

GLI AGGANCI
Una figura importante. Che entra direttamente in contatto con Cosimo Commisso quando, nel 2015, il boss chiede e ottiene la concessione degli arresti domiciliari a Casa del Diavolo. Diversi, gli incontri tra i due. Nei quali emerge la «connivenza - scrivono ancora gli investigatori - di Rodà con ambienti della massoneria in Perugia».

LE INTERCETTAZIONI
Un’intercettazione in particolare fotografa questa presunta vicinanza e confluenza di interessi. Siamo nel settembre 2016, Commisso chiede a Rodà di adoperarsi per trovare un posto di lavoro a una ragazza della zona, con cui «era solito fare lunghe passeggiate e preferibilmente in uno studio di un consulente fiscale». Questa la risposta di Rodà: «Noi abbiamo...un riferimento...noi avevamo mille riferimenti una volta...una volta avevamo mille riferimenti, oggi purtroppo dopo che è sucesso sto c... di fatto di questo Mimmo Macrì, di massoneria che era alla luce di tutti sul territorio...». Il riferimento, scrivono gli investigatori, è a una «inchiesta giudiziaria che aveva svelato la presenza sul territorio perugino di una consorteria massonica».


Un’inchiesta del 2011 condotta dal Ros dei carabinieri, con l’imprenditore di Città di Castello arrestato per riciclaggio e immediatamente sospeso dalla massoneria. Rodà, si legge nelle intercettazioni, dice a Commisso di farsi dare il curriculum dalla ragazza perché «anche se non sono più i tempi di una volta» cercherà tramite quel riferimento rimasto (il riferimento è a un medico perugino in pensione, non indagato) di «vedere quello che si può fare». «Commisso - annotano gli investigatori - chiedeva se risultava vero che la massoneria nella zona di Perugia gestiva ogni cosa. Rodà, di fatto, gli rispondeva che ciò corrispondeva al vero e faceva una similitudine con la Calabria dove la ‘ndrangheta controllava in toto il territorio: “Ti posso dire una cosa, come magari chi non conosce giù in Calabria, il sistema pare che è tutto sotto controllo, e chi controlla? È la stessa cosa qua..» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero