«Prendo il figlio come un coniglio e lo sgozzo»: Perugia, l'incubo quotidiano tra le mura di casa

«Prendo il figlio come un coniglio e lo sgozzo»: Perugia, l'incubo quotidiano tra le mura di casa
PERUGIA - Patteggia la propria condanna a due anni e otto mesi di carcere il 36enne romeno indagato dalla Procura della Repubblica di Perugia per maltrattamenti in famiglia,...

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PERUGIA - Patteggia la propria condanna a due anni e otto mesi di carcere il 36enne romeno indagato dalla Procura della Repubblica di Perugia per maltrattamenti in famiglia, stalking e lesioni nei confronti dell’ex compagna. L’accordo tra il pm Patrizia Mattei e l’avvocato Giuseppe Alfì è stato ratificato ieri mattina dal giudice per l’udienza preliminare Margherita Amodeo. «Attraverso reiterate condotte di violenza fisica e psicologica - scriveva il pubblico ministero nella richiesta di rinvio a giudizio - per futili motivi, in ingiurie, minacce di morte, percosse, calci e schiaffi, atteggiamenti volutamente mortificanti, denigratori e di disprezzo, maltrattava la donna e il figlio minore, con ciò instaurando un clima di sofferenza e di paura che rendeva intollerabile la prosecuzione della relazione e della convivenza familiare».

In denuncia la donna ha messo nero su bianco frasi pesantissime che sarebbero state pronunciate dallo straniero: «Prendo il figlio come un coniglio e lo sgozzo», ma anche altre «allusive all’intento di pagare terze persone dalla Romania per la sua esecuzione». Negli atti giudiziari si parla del «frequente abuso di alcol» da parte dell’indagato che «andava in escandescenze in occasione di banali discussioni, anche durante la gravidanza, rivolgendole espressioni ingiuriose e denigratorie, dimostrando gelosia ossessiva, augurando la morte a lei, ai figli e al nascituro, arrivando a dubitare di esserne il padre e minacciandola di un male ingiusto e, ad esempio cacciarla di casa o di gettarli addosso dell'acido». Tra il 2017 e il 2020, a questo periodo risalgono le contestazioni - la donna è stata «colpita con un violento schiaffo al volto benché avesse il figlio minore tra le braccia» (quella volta danneggiò anche la culla, viene riferito).

L’indagato, «gelosamente morboso e incapace di accettare la decisione della donna di porre fine alla relazione», l’avrebbe anche tempestata di sms indiretti, indirizzati ai familiari di lei, contenenti «pesanti pressioni e minacce anche di morte, affermando l'intento di ucciderla, paventando conseguenze più gravi al suo futuro ritorno dal carcere». Agli atti del fascicolo d’inchiesta c’è finito un Whatsapp con scritto: «Provocare un animale è brutto perché non sai mai quello che succede». Nel giugno del 2019 - spiega la persona offesa - «la colpiva con uno schiaffo al volto facendola cadere dalla sedia e infieriva sulla donna con pugni e calci salendole sopra con le ginocchia», provocandole «un ematoma al naso con infrazione delle ossa». Finché, nel 2021, quando lei già aveva cercato protezione in una casa famiglia, «riprendeva a tartassarla di messaggi in cui alle solite minacce, anche di morte, e recriminazioni, alternava insistenti richieste di perdono e di riprendere la loro relazione».

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Il Messaggero