TERNI Terni da parecchi anni è in declino economico e demografico, un declino reso evidente dai tanti “vuoti” che crea. L’immigrazione ci aiuta a riempire...
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Saldo positivo L’immigrazione ha consentito di mantenere un saldo positivo. Alla fine dello scorso anno gli stranieri rappresentavano l’11,6% del totale, una quota sopra la media italiana ma molto al di sotto di quanto molti credono. Ora dobbiamo chiederci con tutta onestà come sarebbe oggi Terni se non ci fosse stata l’immigrazione in questi ultimi venti anni a frenare il rattrappimento demografico. Il declino crea un “vuoto” di popolazione, in particolare di giovani. La conseguenza è che anche molte aule scolastiche e molte case sono destinate a rimanere vuote. Anche un gran numero di posti di lavoro (interi segmenti professionali) rischiano di rimanere vuoti. E, infine, quando il reddito complessivo deve sostenere una popolazione che comprende sempre più persone già uscite dal lavoro arriva anche un “vuoto” di reddito procapite. In questa situazione gli immigrati non “tolgono” ai ternani ma “aggiungono” e riempiono un po’ dei nostri vuoti. L’immigrazione rende meno violento lo svuotamento delle aule scolastiche, contribuisce al mercato immobiliare di intere zone urbane e dei comuni circostanti, sostiene i consumi e il commercio, presta lavoro nelle aziende e nei servizi. Una parte considerevole tra loro ha scelto di far crescere qui i figli e ha investito qui i risparmi per comprare casa. Queste sono scelte inequivocabili di impegno e fiducia nei confronti della nostra città.
Alternative fallite Forse i nostri vuoti si sarebbero potuti riempire anche in altro modo. Nel corso degli ultimi venti anni si è tentato di attrarre a Terni un po’ di famiglie romane. L’operazione però è fallita. Perché? Per un certo periodo alle giunte di centrosinistra è piaciuto parlare di Terni città universitaria, che avrebbe attratto considerevoli flussi di studenti da fuori regione. Uno slogan mai divenuto un progetto serio. Il vuoto di reddito si sarebbe potuto colmare rigenerando il tessuto economico con nuove attività a elevato valore aggiunto. Ma anche in questa direzione, se ci si volge indietro, niente di veramente significativo è avvenuto nel sistema imprenditoriale locale. L’immigrazione è oggi un fattore primario di tenuta della nostra città. Anzi, una risorsa. Questo è il dato di fatto e la parola-chiave dai quali partire per impostare qualsiasi discorso sull’immigrazione. Per realismo, non per buonismo.
La sfida del sindaco Per questo è di grande importanza sapere se il neosindaco leghista intende applicare a Terni l’impostazione del leader del suo partito, Salvini, di contrapposizione tra italiani e stranieri. Nei suoi primi interventi il sindaco Latini ha trattato il tema dell’immigrazione come una questione di sicurezza. La sicurezza è un problema molto serio che va affrontato con misure idonee di contrasto alla criminalità, di matrice italiana o straniera, a partire da quella spesso impropriamente definita “piccola” ma che in realtà rappresenta una grave insidia soprattutto per la parte debole della popolazione. Ma chiarito questo, per chi deve lavorare a costruire il futuro della città sarebbe un grave errore, e una responsabilità ancora più grande, dare corso a una visione ristretta e distorta che guarda agli immigrati in termini di interessi contrapposti e come una minaccia. Nel suo discorso di insediamento dello scorso luglio Latini aveva detto che “i ternani devono affrontare le sfide insieme, sentendosi comunità, riscoprendo o reinventando la propria identità”.
Identità da reinventare Il termine comunità oggi assume spesso significati ambigui, tuttavia, come questa affermazione lascia intuire, l’identità di una città non può essere semplicemente presa dal passato e riproposta tale e quale oggi. Un’identità va continuamente reinventata. E nella Terni dei prossimi venti anni, che ci piaccia o meno, avranno un posto importante anche gli immigrati, di prima e di seconda generazione. La forza “morale” di Terni si vedrà nella sua capacità di accogliere gli stranieri e, al tempo stesso, di esigere il loro impegno fattivo a stabilire una convivenza basata sul rispetto e la fiducia reciproci, soprattutto attraverso i giovani di seconda generazione. È a loro che si deve guardare e su di loro deve scommettere la città. Una sfida per tutte i soggetti sociali e anche per la nuova amministrazione.
Giuseppe Croce è Associate Professor
Sapienza University - Rome Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero