Terni, l'anno nero dei maltrattamenti in famiglia: 250 denunce e la violenza non s'arresta

Terni, l'anno nero dei maltrattamenti in famiglia: 250 denunce e la violenza non s'arresta
TERNI - Quello appena chiuso è stato l’anno macchiato dal sangue di Zenepe Uruci, 56 anni appena compiuti, ammazzata a coltellate dal marito al culmine...

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TERNI - Quello appena chiuso è stato l’anno macchiato dal sangue di Zenepe Uruci, 56 anni appena compiuti, ammazzata a coltellate dal marito al culmine dell’ennesima lite. Un femminicidio che non richiede indagini perché lui, reo confesso e rinchiuso in carcere, si è impiccato in cella.

Il sacrificio di Zenepe in dodici mesi neri sul fronte dei reati da codice rosso. Più di 250 le denunce per maltrattamenti in famiglia e atti persecutori. Quasi una a giorno, con violenze fisiche e morali sempre più drammatiche.

Il procuratore, Alberto Liguori, tracciando il bilancio di un anno passato a tentare di mettere un freno alle violenze da codice rosso, ha fatto il punto su un’emergenza che impone  provvedimenti cautelari d’urgenza per tutelare la vita delle vittime.

In procura sono arrivate duecentocinquanta notizie di reato tra maltrattamenti in famiglia e atti persecutori. Una media di più di 25 segnalazioni al mese.

La procura risponde col pugno duro. Ogni settimana vengono eseguite tre misure cautelari, personali e coercitive. Dodici misure cautelari al mese tra carcere, domiciliari allontanamenti e divieti di avvicinamento dell’aguzzino dall’abitazione familiare. La metà delle denunce viene trattata col ricorso alla privazione della libertà personale o di movimento dell’indagato.

«Sono dati che devono far riflettere sul tasso di violenza che vive all’interno delle mura domestiche - ha detto Liguori -  ma non vanno trascurati quelli relativi al cosiddetto codice nero. Troppe donne non ce la fanno, tra timori di pubblicizzazione del proprio dramma e bisogno di protezione dei figli, a denunciare. E’ facile nei convegni invitare le donne a far emergere umiliazioni che durano da anni. Alle vittime, che spesso vivono a carico dell’aguzzino, va garantita l’affrancazione dal bisogno economico che solo il lavoro può dare».

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Il Messaggero