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PERUGIA - «Svegliati dalle sirene nella notte. Con la paura delle bombe e ora pronti a lasciare la città, portando via l'essenziale, medicine e farina. Ma con l'ansia anche di non sapere quanto tutto questo potrà durare».
Marta Prydun, giovane studentessa ucraina di Medicina e chirurgia, da 12 anni a Perugia, racconta così l'incubo che parte della sua famiglia sta vivendo dalla notte di ieri, quando diverse città in Ucraina sono state attaccate dai militari russi. «Il conflitto non è iniziato ieri – prosegue -, eravamo in ansia da giorni, ma nessuno si aspettava questo attacco, in piena Europa. I miei parenti stanno bene per adesso, ma sono pronti a lasciare le loro case, nel centro di Lviv, per raggiungere i rifugi anti-bombe. Ma la notte, perché di giorno devono lavorare. Almeno finché si potrà». Lviv è proprio una delle prime città colpite, nota anche come Leopoli ma Marta ci tiene: «Insista con Lviv, se possibile». La sorella della madre e altri zii abitano lì, è la sua città natale e lei ci è stata solo due mesi fa, per Natale. C'era la neve e Marta era felice.
TUTTI IN CHIESA
Come in ansia è tutta la comunità ucraina di Perugia, che già da giorni si riunisce nella chiesa Santa Maria delle grazie di via Caprera: 150 persone a celebrazione, mentre domenica c'era stata una manifestazione contro la guerra in piazza Italia. E ieri don Vasyl Hushuvatyy ha organizzato una messa per pregare per i loro concittadini e per la pace. Almeno una settantina di donne si sono riunite in chiesa, tra lacrime, singhiozzi, paura e cellulari alle orecchie. Perché ieri mattina – hanno raccontato – c'è stato un «buco nelle comunicazioni di almeno tre ore. Non riuscivamo a sentire i nostri amici e parenti, non era possibile capire come stessero. E ora viviamo nel terrore». La paura è che figli, nipoti e amici siano «costretti a prendere le armi». Perché se in Umbria la comunità ucraina è composta da circa cinquemila residenti (3.500 nel Perugino e 1.500 nel Ternano, il 5 per cento di tutta la popolazione straniera in regione), la stragrande maggioranza sono donne. Lavorano qui da anni, mentre gli uomini sono rimasti lì. «Vorremmo farli venire qui – dice Lyuba – ma non sappiamo come. Siamo preoccupate non solo per le bombe ma per la possibilità che debbano andare a combattere». La maggior parte degli ucraini a Perugia provengono proprio da Lviv e da Ivano-Frankivs'k, entrambe bombardate, aeroporto compreso. «Sono città lontane dal Donbass, verso il confine con l'Ungheria e questo significa che in questo momento nessuno è al sicuro», hanno spiegato piangendo. «Oggi – ha concluso don Vasjli - c'è bisogno più che mai di pregare per la pace e fermare la guerra. Dio custodisce il nostro paese». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero