Carmine Maringola porta in scena al Morlacchi il nuovo spettacolo di Emma Dante: «Riti che sconfiggono la morte grazie alla forza dei ricordi»

Carmine Maringola porta in scena al Morlacchi il nuovo spettacolo di Emma Dante: «Riti che sconfiggono la morte grazie alla forza dei ricordi»
PERUGIA - Da domani a venerdì sul palco del Morlacchi sarà in scena “Pupo di zucchero”, il nuovo spettacolo firmato da Emma Dante che torna a...

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PERUGIA - Da domani a venerdì sul palco del Morlacchi sarà in scena “Pupo di zucchero”, il nuovo spettacolo firmato da Emma Dante che torna a confrontarsi con Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile (si tratta in effetti del secondo capitolo di una trilogia, ndr). La pluripremiata regista e drammaturga sicula narra attraverso una favola barocca quel limbo tra tradizione e meraviglia che avvolge la festa dei morti e in generale la memoria dei defunti. In scena anche suo marito, l’attore Carmine Maringola che interpreta il Vecchio che, per sconfiggere la solitudine, invita a cena nella loro antica dimora i defunti della famiglia.

Carmine Maringola, è un racconto di fantasmi?
Di ricordi, non di fantasmi. Abbiamo riscritto del tutto la favola di Basile e ci siamo immaginati questo vecchio che prepara un dolce e intanto la casa si popola di persone che non ci sono più. Alla fine il protagonista dice “il 2 novembre è l’unico giorno che ci sta un po’ di vita in questa casa”. È come un monologo interiore… ma sul palco con me ci sono altri 10 attori, che riempiono la scena con i loro corpi, con dei bellissimi canti del 600 napoletano e qualcuno suona anche degli strumenti della tradizione povera.

È una storia da vivere più che da capire?
Esattamente, la storia è un pretesto. Il pubblico si trova immerso in questa situazione e lo spettacolo gioca molto sulle corde dell’emozione. I dialoghi sono in un napoletano barocco, ma lo si fruisce benissimo in qualsiasi parte d’Italia.

Lei in scena avrà le mani in pasta…
Il mio compito è mischiare farina e acqua, per preparare appunto il Pupo di zucchero. E questo impasto recita con noi. Non può essere troppo secco o troppo appiccicoso, quindi modifico un po’ le proporzioni da teatro a teatro, da città a città.

Lei cucina anche nella vita?
Sì, a casa quando posso faccio il pane, le pizze… amo usare il lievito madre. Emma è da tempo che fantastica sul fare uno spettacolo dove io cucino!

Come è legata questa passione al tema dello spettacolo?
Da bambino facevo i compiti nella stessa stanza dove mia nonna cucinava. Quando ad esempio faccio pasta e fagioli, una ricetta che lei preparava spesso, l’assaggio e sento lei, come se fosse ancora qui.

Quello della morte e del ricordo è un tema che lei ha affrontato anche attraverso la fotografia…
Dal punto di vista personale ammetto di avere un serio problema con la morte, una vera non accettazione, come se fossi totalmente contrario. Se qualcuna delle persone a me care muore divento inconsolabile. Da ateo per me la morte potrebbe essere ancor più drammatica. Ora, immedesimarmi in questo uomo che è rimasto l’ultimo della famiglia mi ha fatto comprendere come si possano tenere in vita i propri cari attraverso questo tipo di ricordo.

Invece cosa c’entra la ritualità?
Sono molto affascinato dalla ritualità e il teatro mi stimola tanto proprio perché lo considero un rito. Sulla ritualità della morte a Napoli c’è una grande tradizione. Credo che l'eterno può essere vissuto attraverso il ricordo, quindi la rimembranza fa vivere i morti attraverso i vivi… e questo è già un eterno.

La recente pandemia o lo scoppio della guerra hanno modificato lo spettacolo?
Direi proprio di no. Questo spettacolo è stato progettato con tempi molto lunghi, quindi era già quasi tutto deciso prima dei vari lockdown. Non si è modificato ma con l’arrivo della pandemia ci abbiamo pensato: parla di morte e in quel periodo c’era un’emozione particolarmente forte che credevamo stesse un po’ condizionando il pubblico. Ora che la pandemia inizia a diventare un ricordo, mi rendo conto invece che l’argomento è talmente universale che non ha bisogno di un fatto di attualità per essere vissuto così visceralmente da chiunque.

Evitando spoiler, cosa avviene quando alla fine i personaggi appaiono nelle loro vere sembianze?
Beh, Cesare Inzerillo ha creato queste dieci sculture simili alle mummie dei Cappuccini esposte nelle catacombe di Palermo. Sono la riproduzione dei personaggi che il pubblico vede in scena per tutto il tempo. L’hai visti morti ma vivi… e poi alla fine li vedi davvero morti. Mi accorgo che quando il pubblico resta da solo con loro per un momento, ognuno ci mette dentro i propri cari. Questa cosa funziona, è davvero anch’esso una sorta di rituale.

 

INCONTRA I PROTAGONISTI


Venerdì 3 febbraio, alle 17.30 al Teatro Morlacchi il pubblico incontrerà la Compagnia. L'incontro, a ingresso gratuito, sarà condotto dalla giornalista Ilaria Rossini. A seguire, degustazione gratuita di vini della cantina Pucciarella di Magione, offerta dal Caffè del Teatro. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero