Perugia, i vicini litigano spesso e lei ha paura finisca nel sangue. Cerca aiuto e per questo si becca una denuncia

Perugia, i vicini litigano spesso e lei ha paura finisca nel sangue. Cerca aiuto e per questo si becca una denuncia
PERUGIA - Ha i vicini turbolenti. Litigano spesso. Le gridate riecheggiano nella tromba delle scale e lei ha paura. Più che disturbo della quiete, ha timore che...

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PERUGIA - Ha i vicini turbolenti. Litigano spesso. Le gridate riecheggiano nella tromba delle scale e lei ha paura. Più che disturbo della quiete, ha timore che l'ultima litigata in corso possa avere conseguenze peggiori, di quelle che si leggono sui giornali. Di quelle che poi forze dell'ordine, amici e parenti si chiedono perché nessuno sia intervenuto quando poteva, se sapeva. E allora alza il telefono. E chiama il 112. Cinque volte in sei mesi. Con la paura che le urla possano finire in un silenzio definitivo.

E così, anche quel 7 gennaio 2023, chiama il numero d'emergenza. E la fine di quella telefonata sarà una denuncia. Per procurato allarme. Ma per lei. È così che è finita sotto processo la donna accusata di «aver annunziato un pericolo inesistente, suscitando allarme presso l'autorità (…) dichiarando che vi era una lite in atto tra i suoi vicini di casa, situazione risultata non veritiera». Perché in effetti quando dopo due ore dalla telefonata – particolare emerso ieri in aula – le forze dell'ordine sono arrivate davanti a quel portone di Perugia, urla non se ne sentivano più. La donna, difesa dall'avvocato Francesca Pasquino, nella prossima udienza porterà in tribunale i suoi testimoni, per raccontare delle altre richieste di aiuto (compresa quella tre giorni prima della sua denuncia) e dei motivi per cui si sentiva in dovere di allertare le forze dell'ordine. Con il giudice Annarita Cataldo chiamata a decidere se è stato procurato allarme o attenzione di vicinato.

 

Ha i vicini turbolenti. Litigano spesso. Le gridate riecheggiano nella tromba delle scale e lei ha paura. Più che disturbo della quiete, ha timore che l'ultima litigata in corso possa avere conseguenze peggiori, di quelle che si leggono sui giornali. Di quelle che poi forze dell'ordine, amici e parenti si chiedono perché nessuno sia intervenuto quando poteva, se sapeva. E allora alza il telefono. E chiama il 112. Cinque volte in sei mesi. Con la paura che le urla possano finire in un silenzio definitivo.

E così, anche quel 7 gennaio 2023, chiama il numero d'emergenza. E la fine di quella telefonata sarà una denuncia. Per procurato allarme. Ma per lei. È così che è finita sotto processo la donna accusata di «aver annunziato un pericolo inesistente, suscitando allarme presso l'autorità (…) dichiarando che vi era una lite in atto tra i suoi vicini di casa, situazione risultata non veritiera». Perché in effetti quando dopo due ore dalla telefonata – particolare emerso ieri in aula – le forze dell'ordine sono arrivate davanti a quel portone di Perugia, urla non se ne sentivano più. La donna, difesa dall'avvocato Francesca Pasquino, nella prossima udienza fissata per lunedì 22 porterà in tribunale i suoi testimoni, per raccontare delle altre richieste di aiuto (compresa quella tre giorni prima della sua denuncia) e dei motivi per cui si sentiva in dovere di allertare le forze dell'ordine. Con il giudice Annarita Cataldo chiamata a decidere se è stato procurato allarme o attenzione di vicinato.

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Il Messaggero