PERUGIA - A distanza di secoli, il rapporto tra i musei e i loro custodi naturali si evolve e arriva alla scoperta della dinamo. ...
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Non più riposi domenicali e nei giorni festivi alla Rocca di Spoleto per affrontare in forze (supponiamo) il lunedì e l’impatto con la massa delle parrucchiere colpite nel loro giorno libero dalla bramosia di una capatina albornoziana. Non più 15 anni per trasferire, azzardiamo su carri trainati da bruchi scelti dall’allora soprintendente Eugenia Feruglio, i reperti di una tomba etrusca da una buca di Monteluce al museo di corso Cavour, da Perugia a Perugia meno di un chilometro. Non più capolavori diventati mostre zero pubblicizzate perché, immaginiamo, l’alito di troppi visitatori poteva turbare i colori delle opere. Non più abili fannulloni nascosti dietro al paravento ministeriale descritto come insormontabile per saurocrazia, circolari, permessi, cavilli e affini. Al ministero ora c’è un signore agile di nome Dario Franceschini cui si potrà dire di tutto, tranne di non avere tolto le ragnatele dai feudi impolverati. Non ci sono più scuse, non solo per soprintendenti e direttori, ma per tutti, custodi, tecnici, esperti e magazzinieri. Tutti devono avere in mente l’idea di dover conciliare il rispetto per l’arte con il profitto, senza considerare il loro posto di lavoro un punto d’osservazione sul mondo, ma un avamposto per l’unica industria al mondo dai giacimenti eterni. Troppo poche le eccezioni (Perugino e Pinturicchio) che hanno portato il patrimonio artistico umbro nel mondo, sempre comunque in sordina. E anche in quel caso, al ciclo è mancato il balzo finale di Raffaello. A ottobre arriverà il nuovo direttore della Galleria Nazionale Marco Pierini, scelto nel mazzo dei migliori proprio dal ministro Franceschini. Prende il posto di Fabio De Chirico, reso famoso più dal cognome che dalle iniziative. Raccontano che Pierini si sia dimesso dall’ultimo incarico a Modena perché non voleva conciliare la tradizione dei prodotti tipici con la raffinata esposizione dell’arte. Di solito ci si dimette per motivi più seri. Come accade con un nobilissimo sponsor culturale che brucia gasolio e produce plastica per cercare di farci vivere meglio, in tempi di Expo si deve trovare un compromesso pure con le basse ricchezze della terra. Zampone e carota. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero