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PERUGIA - Su delega di questa Procura – come spiega una nota firmata dal Procuratore della Repubblica di Peugia, Raffaele Cantone - , i militari del Nucleo di Polizia Economico – Finanziaria di Perugia hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari e ad un decreto di sequestro preventivo, nei confronti di imprenditori esercenti l’attività di commercio di prodotti petroliferi per autotrazione, resisi responsabili di una serie di illeciti tributari, nonché del reato di autoriciclaggio dei proventi derivanti dall’evasione fiscale. Il contesto trae origine dalle indagini che i finanzieri stavano conducendo nei riguardi di un sodalizio, operante con analoghe modalità criminali nel medesimo settore e con diramazioni sull’intero territorio nazionale e all’estero, e che, nei giorni scorsi, ha portato all’esecuzione di arresti e sequestri per oltre 8 milioni di euro. Gli elementi indiziari tratti dalla preliminare analisi della documentazione contabile e bancaria acquisita in tale sede e le evidenti incongruenze di natura fiscale rilevate dall’interrogazione delle banche dati, hanno consentito l’avvio di un autonomo filone investigativo che ha disvelato l’esistenza di uno strutturato meccanismo di frode “carosello”. In particolare, l’attenzione degli inquirenti si è incentrata su forniture di carburante effettuate, a partire dal 2017, da due società, una tunisina ed un’altra con sede nelle Isole Seychelles, entrambe segnalate da varie Unità di Informazione Finanziaria (Financial Intelligence Unit) estere per comportamenti sospetti sotto il profilo del possibile riciclaggio dei proventi del contrabbando di petrolio. Il combustibile, stoccato in un deposito costiero della città spagnola di Cartagena, veniva acquistato “cartolarmente” da una società italiana con sede a Roma, rivelatasi un vero e proprio missing trader, privo di una benché minima struttura organizzativa e patrimoniale, e successivamente, ceduto ad una società “filtro” (buffer) localizzata in provincia di Perugia, che, a sua volta, lo rivendeva ad altre società fittiziamente interposte, prima di giungere – sempre “cartolarmente” – al destinatario finale che alimentava una rete di distributori senza logo (le cosiddette “pompe bianche”) le quali, proprio lucrando sull’Iva sottratta all’Erario, praticavano prezzi “scontati”. In realtà, le cessioni del prodotto, trasportato via mare presso un deposito di Genova e, da qui, mediante autobotti, ai clienti finali nazionali, sono di fatto avvenute direttamente tra i fornitori esteri e l’ultima società italiana della catena. L’Iva indebitamente detratta dalle società “filtro” e non versata all’Erario dalla “cartiera”, primo acquirente nazionale, in parte, è stata dirottata verso conti esteri detenuti in Tunisia e a Malta e, per la restante parte, utilizzata la realizzazione di investimenti immobiliari, con l’acquisto di casolari sulle colline venete e umbre, dietro lo schermo di due società croate, direttamente riconducibili ai responsabili della frode.
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Il Messaggero