Università di Perugia, il team della professoressa Mecocci entra a far parte del progetto europeo Lethe: intelligenza artificiale per curare la demenza

Università di Perugia, il team della professoressa Mecocci entra a far parte del progetto europeo Lethe: intelligenza artificiale per curare la demenza
La sezione di gerontologia e geriatria del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Perugia, diretta da Patrizia Mecocci, è uno dei partner del...

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La sezione di gerontologia e geriatria del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Perugia, diretta da Patrizia Mecocci, è uno dei partner del progetto europeo Lethe, un modello personalizzato predittivo e di intervento per il riconoscimento precoce e la riduzione dei fattori di rischio per la demenza utilizzando sistemi di Intelligenza Artificiale e di Apprendimento Automatico. 

Il progetto quadriennale, finanziato con sei milioni di euro nell’ambito del programma di ricerca europeo Horizon 2020, vede coinvolti centri clinici specializzati nella prevenzione, diagnosi precoce e cura delle demenze. Oltre la gerontologia e geriatria di Perugia, c’è la clinica neurologica dell’Università di Vienna, il Karolinska Institutet di Stoccolma e l’Istituto Finlandese per la salute ed i servizi sociali di Helsinki. Si tratta dell’evoluzione in senso tecnologico dello studio Finger, nato per individuare le strategie più efficaci di prevenzione della demenza. «E’ ormai noto come,  a livello mondiale, con l’invecchiamento della popolazione il numero di persone che si ammala di demenza stia progressivamente crescendo - spiega la professoressa Mecocci -  attualmente non ci sono terapie farmacologiche efficaci in grado di curare la demenza, ma da numerose evidenze scientifiche emerge l’importanza di agire precocemente su vari fattori di rischio per poterla prevenire».

 Tra gli studi, di particolare interesse è il Finger (Finnish Geriatric Intervention Study), iniziato nel 2009,  che si propone di individuare soggetti con condizioni di rischio potenzialmente modificabili (come obesità, diabete, ipertensione arteriosa), sottoposti ad  attività di stimolazione cognitiva, controllo alimentare, attività fisica, attività sociali. «I risultati, già al primo follow-up a due anni, hanno evidenziato un miglioramento delle funzioni cognitive nei soggetti partecipanti a questi gruppi di lavoro rispetto ad anziani seguiti in maniera standard, mostrando come un’azione costante e mirata a modificare lo stile di vita possa ridurre il rischio di demenza» - sottolinea Patrizia Mecocci. Partendo da questi presupposti lo studio Lethe si propone di individuare i principali fattori predittivi di demenza  analizzando, grazie ai sistemi informatici più avanzati, alcuni grandi set di dati clinici raccolti su popolazione anziana per definire dei “biomarcatori digitali” che permettano di riconoscere con grande anticipo e con maggiore precisione i soggetti più a rischio di ammalarsi. Una volta conclusa questo tipo di analisi verranno proposti ad un gruppo di persone reclutate nei quattro centri clinici una serie di sistemi di monitoraggio sia attivi (ad esempio eseguendo ogni giorno attività di stimolazione cognitiva al computer o dettagliando in  programmi informatizzati l’alimentazione seguita) che passivi (registrazione dell’attività motoria o dell’elettrocardiogramma mediante specifici sensori).

«Scopo di questa ricerca innovativa - afferma  la professoressa Mecocci - è quello di creare un sistema di monitoraggio “intelligente” e ad alto contenuto tecnologico in grado di aiutare il soggetto anziano a migliorare il proprio stile di vita attraverso modalità molto personalizzate e per questo più adeguate alle esigenze ed ai gusti di ogni persona. Fare prevenzione per impedire l’insorgenza di disturbi cognitivi, come la perdita della memoria, si può e si deve fare. Oggi la tecnologia ci aiuta in maniera efficace, con sistemi poco intrusivi o invasivi, indicandoci quali sono le attività più adatte per il controllo della salute e per impedire la comparsa di patologie gravi». «Sono molto felice ed entusiasta  - conclude - che l’Università di Perugia faccia parte di questo progetto che apre prospettive nuove nella lotta contro la demenza e soprattutto apre alla città di Perugia ed alla Regione Umbria anche la possibilità di entrare nell’ambito della grande rete internazionale di centri di ricerca e cura per le demenze e la fragilità nell’anziano che prende il nome di World Wide Fingers. Mi auguro quindi che questo sia solo il primo passo per un’attività molto più ampia che sia in grado di coinvolgere varie figure istituzionali per proporre percorsi di salute ad una popolazione sempre più anziana, come quella umbra».

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Il Messaggero