Paga misera, niente pasti, stipati nei furgoni e al lavoro in condizioni «indegne»: a Perugia 5 “caporali” nei guai

Il procuratore capo Raffaele Cantone
PERUGIA - Al lavoro in «condizioni indegne e particolarmente faticose». Fino a 10 ore al giorno, con compensi di sei euro all'ora. Senza alcuna sicurezza,...

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PERUGIA - Al lavoro in «condizioni indegne e particolarmente faticose». Fino a 10 ore al giorno, con compensi di sei euro all'ora. Senza alcuna sicurezza, alcun contratto e diritti. Compresi ferie e pasti. Così sono state impiegate circa 70 persone, tutte di origine straniera, portate sui campi stipate su furgoni e costrette a raccogliere, potare e lavorare la terra. Sfruttamento del lavoro e caporalato per cui, dopo le indagini del Nucleo carabinieri Ispettorato del lavoro di Perugia - con l'ausilio dei militari dell'Arma di Perugia, Grosseto e Siena e del personale del gruppo tutela lavoro di Roma -, sono finiti nei guai in cinque, per i quali è stata disposta una misura degli arresti domiciliari (con tanto di sequestro preventivo di oltre 230mila euro) e quattro obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria.

Gli indagati, di nazionalità turca e marocchina, tutti tra i 35 e i 45 anni, sono legati da vincoli di parentela e sono risultati titolari di due ditte agricole della provincia di Perugia. Come spiegato dal procuratore capo Raffaele Cantone, sono accusati di aver costituito una compagine dedita alla intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, con i circa 70 lavoratori – alcuni dei quali clandestini – impiegati in condizioni «indegne» in aziende agricole tra Perugia, Grosseto, Siena e Arezzo. Costretti a vivere in un casolare fatiscente a Panicale per cui dovevano anche pagare: per un posto letto la spesa mensile era di circa 150 euro, somma che veniva loro sottratta con violenze o minacce dalla «già misera retribuzione percepita», sottolineano dalla procura di Perugia che ha coordinato le indagini durate un anno.
Durante i servizi di osservazione i militari hanno quindi accertato come, proprio dal casolare, gli stranieri partissero «a bordo di furgoni sovraffollati e dopo aver affrontando lunghe trasferte venivano condotti nei campi senza alcun tipo di diritto riconosciuto (pasti, ferie retribuite e riposi)». Una situazione scoperta, spiega Cantone, grazie alla denuncia di un clandestino nigeriano «sottoposto a sfruttamento lavorativo e violenze da parte degli indagati», che si è affidato a una cooperativa sociale di Perugia attiva per i servizi rivolti a persone vittime di tratta.


Ma non solo. Perché durante una perquisizione disposta dalla procura è emerso come il titolare di una delle aziende abbia esibito ai militari una falsa documentazione sulla sicurezza, che sarebbe stata creata ad arte da un centro di formazione in materia di igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro di Grosseto, gestito da una professionista italiana. La donna è stata denunciata, insieme a due collaboratori esterni con incarico di docenti e un dipendente del centro. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero