Coronavirus, padre e figlio bloccati in due continenti diversi: «Il compleanno più emozionante, ma qui in Africa nessuno rispetta le regole»

Settemila kilometri non sono uno scherzo. Soprattutto quando c'è di mezzo il coronavirus. Lo sta imparando suo malgrado Walter, un papà amerino che da maggio...

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Settemila kilometri non sono uno scherzo. Soprattutto quando c'è di mezzo il coronavirus. Lo sta imparando suo malgrado Walter, un papà amerino che da maggio 2019 lavora in Camerun. Un'esperienza gratificante sul piano professionale, ma veramente dura su quello personale perchè Walter ha una compagna e un figlio di sette anni che ha dovuto lasciare ad Amelia.

«E' sempre dura stare lontano dalla famiglia -racconta amaro al telefono- ma adesso, in piena emergenza sanitaria, il fatto di non poter essere accanto ai miei cari è diventato un macigno quasi insostenibile. Di solito faccio ritorno a casa ogni due mesi - spiega ancora - ma questa volta no. Avrei dovuto prendere un volo il 16 marzo scorso ma il Coronavirus mi ha bloccato qui, il viaggio è troppo lungo e rischioso. Metterei in pericolo la mia incolumità e la loro». Perciò Walter, insieme ad un altro concittadino e una ventina di colleghi italiani ha deciso di resistere e aspettare l'evoluzione degli eventi. Nel frattempo passano in chat compleanni e ricorrenze. «Pochi giorno fa è stato il mio compleanno -racconta emozionato- Linda (la compagna ndr) e Tommaso (il figlio ndr) mi hanno preparato una torta e abbiamo spento le candeline in videochiamata. Ma è stato per la festa del papà che ho temuto di non reggere. Il mio piccolo ha disegnato la bandiera del Camerun a forma di cuore e ha scritto papà anche se sei lontano sei sempre il mio eroe. Ti voglio bene. Ho avuto il magone per due giorni».

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Intanto si continua a lavorare, magari con un occhio più attento ai contatti interpersonali. «Siamo qui - spiega il geometra amerino - per costruire abitazioni che ospiteranno migliaia di famiglie che attualmente vivono in baracche e urbanizzare intere zone della capitale. Noi dipendenti italiani dell'azienda abitiamo in una palazzina, una sorta di quartier generale, al cui interno però lavorano anche una quarantina di impiegati locali che ogni sera fanno ritorno alle loro case. All'esterno».

Ad oggi in Camerun il Governo ha vietato raduni di ogni genere. A questo proposito e la Chiesa ha disposto misure specifiche. In un comunicato diramato nei giorni scorsi, l'arcivescovo di Yaoundé (la capitale ndr), monsignor Jean Mbarga, ha stabilito che le messe dovranno essere celebrate con la partecipazione di massimo 50 persone e ha raccomandato la diffusione delle celebrazioni attraverso i media. «Ma qui a Yaoundé - racconta Walter - nonostante le raccomandazioni delle autorità, le persone sembrano non aver recepito la portata del pericolo reale. Io esco bardato con mascherina e guanti per fare un po' di scorta di alimenti e generi vari e ho visto che per strada la vita scorre come sempre. Per esempio ogni sabato pomeriggio qui c'è un mercato affollatissimo, e anche questa settimana non è mancato. Anche il saluto con la stretta di mano continua ad essere praticato, è rarissimo vedere qualcuno con la mascherina o i guanti». Al momento l'azienda per cui lavora Walter non ha attuato provvedimenti speciali, ma si sta cercando di prevedere un piano per la gestione di eventuali emergenze. «Ovviamente per noi italiani, qualora gli eventi precipitassero - spiega Walter - c'è il rimpatrio ma speriamo di non dovervi ricorrere». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero