Non c'è posto in comunità e Vincenzo muore di overdose: ora c'è l'inchiesta. Caccia ai suoi spacciatori a Fontivegge

Vincenzo Pugliese
PERUGIA - Omissione di atti d'ufficio e morte in conseguenza di altro reato. Questo il fascicolo aperto in procura per dare finalmente a una mamma un...

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PERUGIA - Omissione di atti d'ufficio e morte in conseguenza di altro reato. Questo il fascicolo aperto in procura per dare finalmente a una mamma un «perché». Per provare a spiegare se, oltre ai mostri che aveva in testa e voleva vincere, ci sono responsabilità per la morte di un ragazzo di nemmeno 22 anni, ucciso da un'overdose. Da quell'ultimo tributo a malattia e dipendenza, mentre da mesi cercava un posto libero in una comunità in cui un giudice lo aveva mandato e persino i carabinieri lo sapevano in cura. Questo uno dei passi avanti nella storia di Vincenzo Pugliese, morto sotto casa sua a San Sisto lo scorso 9 giugno per mix di psicofarmaci e metadone, l'ultima dose comprata a Fontivegge: il sostituto procuratore Patrizia Mattei, già titolare delle indagini su chi abbia spacciato quel fatale “addio al celibato”, sta lavorando in silenzio sui due capi di imputazione ipotizzati anche nell'esposto con cui la mamma di Vincenzo, Antonella Scelzo, a inizio anno ha chiesto la verità al procuratore capo Raffaele Cantone. Un fascicolo, al momento, contro ignoti.

Una storia che il Messaggero racconta da novembre scorso, raccogliendo il dolore di Antonella che, a sei mesi dalla morte del figlio, non era riuscita in altro modo a farsi sentire. Una storia, appena rilanciata anche dal Tgr Umbria, che racconta di una polidipendenza e di un disturbo borderline di personalità, di atti di violenza contro gli altri e contro se stesso, ma soprattutto di due pronunciamenti di giudici che ne avevano imposto l'entrata «improcrastinabile» in una comunità di recupero. «Il servizio specialistico psichiatrico che ha in cura il Pugliese – scrisse a novembre 2022 il gip Piercarlo Frabotta - provvederà con la massima sollecitudine a richiedere l'inserimento dello stesso presso la Comunità (…) ove lo stesso dovrà fare ingresso in regime di libertà vigilata». Un richiamo così netto che persino il pm che gli notifica l'avviso di conclusione indagini, ad aprile 2023, lo sa «attualmente dimorante» in quella struttura. Dove però Vincenzo non è mai entrato. Nonostante le richieste, nonostante i pellegrinaggi e le telefonate, fatte pure dal ragazzo, per trovare un posto. Un posto qualunque e ovunque, per curarsi. Come richiesto dall'amministratore di sostegno Liana Lucaccioni, da Mattei (pm anche nel procedimento a suo carico per maltrattamenti in famiglia), dalla famiglia di Vincenzo e da lui stesso, in lacrime, davanti al giudice.


Solo con l'accesso agli atti effettuato dall'avvocato Sara Pievaioli pochi mesi fa, Antonella scopre che la comunità indicata dal gip aveva dato «disponibilità all'inserimento» del ragazzo «a condizione che la relativa richiesta pervenisse a cura del Sert e del Csm». E allora, c'era stata l'attivazione dell'amministratrice, un esposto al giudice tutelare per la necessità di inserire Vincenzo in una comunità a doppia diagnosi, ma qualcosa si è inceppato. «Per giorni, settimane e mesi senza che si attuassero la traduzione nella struttura e il percorso di trattamento e cura: l'ordinanza non è mai stata eseguita». E mentre saranno gli accertamenti e i documenti delle varie strutture a spiegare per quali eventuali responsabilità, procedono anche le indagini per capire chi ha venduto a Vincenzo quell'ultima dose. Dopo quasi un anno, è ancora importante ricostruire i suoi contatti in quel drammatico 9 giugno. Per risalire alle «cattive amicizie», come ribadito dalla famiglia, che nell'area della stazione di Fontivegge gli hanno venduto quel maledetto biglietto senza ritorno. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero