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PERUGIA Matteo Messina Denaro ha ereditato dal padre Francesco non solo la spietatezza del capobastone , la capacità di essere a lungo imprendibile, ma anche una certa passione per gli oggetti antichi e per le opere d’arte. Una passione, non proprio a fin di bene, che ha generato storie singolari delle quali alcuni capitoli sono stati scritti in Umbria. Fatti di un passato lontano che non hanno perso però la capacità di rappresentare un’epopea mafiosa, finita forse proprio con la cattura degli stragisti corleonesi. L’anziano, morto d’infarto nel 1998 dopo una latitanza di otto anni, protagonista di una faccenda di riciclaggio di reperti archeologi; il giovane, invece, interessato a barattare un 41 bis alleggerito con la restituzione dei quadri rubati di una collezione intera. Notte tra il 30 e il 31 ottobre 1962: Francesco Messina Denaro è in possesso l’Efebo di Selinunte, una statua del 480 avanti Cristo, trafugata dal comune di Castelvetrano. Francesco ha 34 anni ed è in piena scalata ai vertici del suo mandamento, Matteo è appena nato. La famiglia discute della destinazione da dare al prezioso reperto archeologico: tenerselo? Chiedere un riscatto? Venderlo? Alla fine, la decisione è quella di trovare un ricettatore di fiducia. Lo cercano, pare a New York, poi in Svizzera , ma la scultura deve rientrare frettolosamente in Sicilia perché c’è chi si è messo sulle sue tracce. Amici compiacenti la nascondono a Gibellina. Dove rimane per sei anni. Fino a quando Messina Denaro , crede di aver trovato un compratore a Foligno. È convinto che l’affare è a portata di mano. Invece è una trappola preparata dall’agente segreto Rodolfo Siviero che oltre ad essere un ministro plenipotenziario è anche un critico d’arte. Con lui il questore di Agrigento Ugo Macera e un antiquario folignate Giuseppe Fongoli. L’antiquario si finge ricettatore per l’amico Siviero. Il prezzo pattuito è di 30 milioni di lire. Gli emissari del boss arrivano in ritardo. I poliziotti, oltre al questore ci sono altri quattro agenti che stanno nascosti in una casa presa in affitto in via Scarpelli che è ad un passo dal negozio di Giuseppe Fongoli un giorno in più. Non mollano .Infatti i mafiosi, una batteria di 5 elementi , arrivano il giorno dopo. Con l’Efebo in una valigetta vanno dall’antiquario. L’antiquario controlla e poi si toglie il cappello. ' il segnale: dall’armadio escono i segugi ministeriali, c’è una sparatoria. Due malavitosi sono arrestati per gli altri parte la caccia all’uomo a colpi di pistola tra la gente. L’Efebo è salvo, torna al museo. Una ventina d’anni dopo è ancora l’arte a dare vita ad una triangolazione tra un giovane residente a Foligno , un detenuto speciale Antonino Gioè e Matteo Messina Denaro. Il giovane di Foligno si fa chiamare Roberto Da Silva, dice di essere brasiliano, commerciante di antichità di pregio. È finito in carcere perché l’hanno beccato , il 16 febbraio 1981 , durante un’operazione contro i ladri d’arte. In realtà l’uomo non si chiama come è scritto nei suoi documenti falsi. È un terrorista nero, Paolo Bellini, recentemente condannato, primo grado, all’ergastolo per la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Ma sotto falso nome e protetto dai servizi segreti, ha vissuto e risiederà a lungo a Foligno.
Il Messaggero