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"Il problema dell'ingresso della droga in carcere è questione ormai sempre più frequente, a causa dei tanti tossicodipendenti ristretti nelle strutture italiane. Rispetto a tale problema bisognerebbe fare molto di più, seguendo l'esempio del carcere di Rimini, dove da tanti anni esiste un piccolo reparto, con 16 posti, dedicato a soggetti tossicodipendenti, i quali sottoscrivono con l'amministrazione un programma di recupero, impegnandosi a non assumere sostanze alternative, come il metadone, a frequentare corsi di formazione, a lavorare". Così Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria dopo l'arresto da parte degli agenti in servizio presso il carcere di Orvieto, che sabato mattina hanno bloccato una donna che portava droga al figlio detenuto.
Il sindacato torna a richiamare l’attenzione dei vertici regionali e nazionali dell’amministrazione penitenziaria affinché vengano date risposte concrete alla risoluzione delle problematiche in atto nel carcere di Orvieto e nelle altre carceri umbre, anche dotando gli agenti della polizia penitenziaria, da sempre in prima linea sul fronte dell’ingresso e possesso di droga in carcere, di adeguati strumenti tecnologici di controllo.
Capece, riportando l'esempio del carcere di Rimini, ricorda che i detenuti, dopo la fase iniziale che li vede impegnati nel lavoro o in corsi di formazione, "vengono destinati alla comunità esterna e quasi tutti non fanno più ritorno in carcere, riducendo la recidiva quasi a zero.
Per Capece, "chiunque, ma soprattutto chi ha ruoli di responsabilità politica ed istituzionale - penso in primis al sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari, che ha ottenuto dal ministro Guardasigilli il mandato alla direzione generale dei detenuti e al trattamento - dovrebbe andare in carcere a Orvieto a vedere come lavorano i poliziotti penitenziari, orgoglio non solo del Sappe e di tutto il Corpo ma dell’intera Nazione”.
Il segretario sottolinea infine le criticità operative del personale di polizia in relazione all'alta concentrazione di detenuti tossicodipendenti in Umbria: "Dai dati in nostro possesso - dice ancora Capece - sappiamo che quasi il 30% delle persone, italiane e straniere, detenute in Italia, ossia uno su tre, ha problemi di droga. Per chiarezza va ricordato che le persone tossicodipendenti o alcoldipendenti all'interno delle carceri sono presenti per aver commesso vari tipi di reati e non per la condizione di tossicodipendenza. La loro presenza comporta da sempre notevoli problemi sia per la gestione di queste persone all'interno di un ambiente di per sé così problematico, sia per la complessità che la cura di tale stato di malattia comporta. Non vi è dunque dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere e che esistano da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento".
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