Perugia, la lunga notte del jazz

Pat Metheny e Ron Carte a Umbria Jazz
PERUGIA - Da Pat Metheny a Jacob Collier, a metà festival una delle più lunghe notti del jazz interrotta, intorno alle 23, solo dalla pioggia che ha sorpreso i circa...

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PERUGIA - Da Pat Metheny a Jacob Collier, a metà festival una delle più lunghe notti del jazz interrotta, intorno alle 23, solo dalla pioggia che ha sorpreso i circa 2.500 dell'arena Santa Giuliana, poco dopo l'inizio del concerto del New Quartet di Enrico Rava featuring Stefano Di Battista. Un fuggi fuggi generale dai posti in platea e qualche esitazione anche sul palco dove il crew è arrivato a coprire, ad esempio, i sassofoni del "Dibba" del jazz. Prima, un'ora e mezza di classe in chiave jazz declinata dalla fidata chitarra elettrica di Pat (ma non mancano passaggi alla chitarra-arpa con 42 corde) e dal contrabbasso di Ron Carter. Due musicisti tornati a suonare insieme dopo l'incontro di un anno fa con un duo essenziale ma ricco di sfumature. Un suono limpido, quasi puro disegna i loro incastri: parti solo e dialoghi serrati, tra brani originali e standard (c'è anche Saint Thomas di Sonny Rollins) con il suono che a tratti diventa quasi mediterraneo.  Nel backstage, l'abbraccio tra coetanei (quasi) di Carlo Pagnotta e Ron Carter. Il bassista ha 2000 incisioni alle spalle, collaborazioni e live "ma ogni volta è come se fosse la prima". "La musica, le situazioni, lo strumento: tutto suona diverso ogni volta". Magia e poesia delle note.

Oltre la mezzanotte, chi ha potuto non si è lasciato sfuggire la prima a Uj del ventunenne Jacob Collier: musicista-cantante con l'hobby dell'elettronica e cresciuto con la musica nel sangue e nel suo mondo racchiuso nella sua camera. Quella room che stanotte sembrava ricreata sul palco del teatro Pavone, sold out fino al limite per un round midnight da incorniciare per l'entusiasmo e l'empatia emanati da pubblico e artista. Ci ha accompagnati in un viaggio talvolta dispersivo, ma in una dimensione suggestiva nella quale Jacob sembra muoversi in un "tesseratto Interstellar" alla Christopher Nolan, dove ogni attimo è vitale per cercare tempo ed effetto giusti. Così, eccolo alternarsi tra voce, tastiera, batteria e chitarre, col loop ora a riempire ora a svuotare i tasselli, nei quali ci si muove tra idee originali e cover "inedite", da Stevie  Wonder a Beach Boys, passando per Burt Bacharach. Il pubblico applaude e segue ogni movimento e performance del talentuoso inglese ventenne la cui immagine campionata e moltiplicata accompagna ogni brano sullo sfondo.  E alle due di notte, fuori dal teatro, il profumo della pioggia accompagna l'eco di una performance da ricordare. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero