Luca Manfredi: “Il film su mio padre per dirgli che gli ho voluto bene”

Luca Manfredi accanto a una foto del padre, nel suo casale in Umbria
AMELIA (TR) "Mio padre non era abituato...

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AMELIA (TR) "Mio padre non era abituato all’affettività, era un uomo chiuso nel suo mondo, quello del Cinema. Lui veniva da una educazione severa. Suo papà Romeo, maresciallo di polizia, sosteneva che i figli vanno accarezzati solo quando dormono. In questo film ho voluto raccontare un Manfredi sconosciuto, una parte della sua vita, un ventennio, dal ’39 al ’59, che nessuno conosce. Un modo per abbracciarlo e per dirgli che gli ho voluto bene". Luca Manfredi, che di professione fa il regista televisivo e cinematografico, è il figlio del grande Nino, icona della commedia all’italiana, scomparso nel giugno del 2004. A settembre, lunedi 25, in prima serata, Rai 1 manderà in onda il film “In arte Nino” (ad interpretare l’attore ciociaro è Elio Germano) che è stato girato quasi per intero a Terni e dintorni. Ma perché l’idea di girare questo film a Terni, in Umbria? "In Umbria mi sento a casa mia anche perché risiedo attualmente a Collicello, un paese nei pressi di Amelia, in provincia di Terni, con mia moglie Michela Trevisan e le mie figlie gemelle Matilde e Margherita, e poi quando ero ragazzino spesso andavo a Perugia dove mio nonno gestiva un locale, il “Ferrari”, un ristorante pizzeria, in corso Vannucci. Insomma, mi sento umbro di adozione e poi la zona del ternano si presta alle scene che volevo girare per ricostruuire la Roma dell’epoca". Il film, in 100 minuti, racconta la storia di un ragazzino malato di tubercolosi e rinchiuso per tre anni e mezzo in sanatorio, al “Forlanini” a Roma. Lui, il giovane Nino, sarà l’unico superstite della sua camerata. Un miracolato. "Da quella esperienza, pur non essendo credente, mio padre fece il film “Per grazia ricevuta” che in fondo è una ricerca di Dio – aggiunge Luca Manfredi – più volte mio papà si è domandato il perché di quella salvezza straordinaria". Una volta guarito dalla Tbc Nino si iscriverà, poco convinto, a Giurisprudenza – il papà non voleva che facesse l’attore, lo considerava un “mestieraccio”, una sorta di saltimbanco - anche se poi presto, in lui, scoppierà la passione per la recitazione e quindi la decisione di iscriversi all’Accademia d’arte drammatica. Sono gli anni dell’incontro con l’indossatrice siciliana – è di Taormina - Erminia Ferrari che sposerà nel 1955 e che rimarrà al suo fianco per oltre cinquant’anni. Un grande amore, il loro. "Sicuramente si anche perché mia mamma è una donna estremamente intelligente, che ha saputo assecondarlo e seguirlo nella sua carriera. Lei è stato il vero pilastro della nostra famiglia e mio padre, che non è stato un Santo, è stato sempre con lei". Ma chi era, in realtà, il grande Nino Manfredi? "Da bambino era considerato uno scapestrato, suo fratello Dante, invece, il classico figlio modello. Lui, mio zio, Per molti anni ha fatto il medico chirurgo a Viterbo. Papà, invece, è riuscito a realizzarsi grazie alla sua grande tigna, tipica dei ciociari, la sua caparbietà. Inizialmente nei provini lo scartavano sempre, dicevano avesse la faccia da perdente. Da giovane era il classico burino". Ma torniamo al film. C’è un anedotto squisitamente ternano? "Una sera durante le riprese Elio Germano mi invitò a prendere una birra in un pub del centro nei pressi di Piazza San Francsco, a Terni. Appena entrato il barista ha messo la canzone “Mi pizzica mi mozzica” e tutti i presenti iniziarono a cantare. Quel giorno venni a sapere che quella canzone di mio pade è l’inno storico della Ternana". Ma Quali sono i prossimi progetti, quelli ancora nel “cantiere” di Luca Manfredi? "Sto lavorando a due nuove biografie, quella di Litte Tony, di genere musicale, e quella intrigante di Alberto Sordi che presto proporrò alla Rai. E poi essendo un endurista, un amante dei motori, ho chiesto a un mio amico ternano notizie su Libero Liberati. Presto leggerò il libro che racconta la storia del campione. Vediamo cosa ne verrà fuori". Alberto Favilla
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Il Messaggero