Impiego pubblico, l'omertà si paga come chi sbaglia o spreca

L'immagine ormai famosa dell'impiegato pubblico che timbra il cartellino e torna a dormire
Strappato ai privilegi del passato, il pubblico impiego riceve una nuova regola: se assistete a sprechi, ingiustizie e ruberie, non voltatevi mai più dall’altra...

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Strappato ai privilegi del passato, il pubblico impiego riceve una nuova regola: se assistete a sprechi, ingiustizie e ruberie, non voltatevi mai più dall’altra parte. Con la calma olimpica dei passisti della giustizia, Antonio Giuseppone, procuratore capo della Corte dei Conti umbra demolisce il laissez-faire, il non impicciarsi, così funzionale in economia, quanto specioso in tema di denaro pubblico. E per farsi capire meglio da impiegati e amministratori, cita l’ultimo caso di scuola, quello della società partecipata più indagata (per ora) dell’Umbria, la Gesenu.

La società per il servizio pubblico dei rifiuti dominata, per uno strano scherzo della politica, da arcigni privati e finita per mafia e reati ambientali sotto processo, è destinata a finire anche davanti ai giudici contabili. Qualcuno si chiederà il perché, dal momento che in Gesenu ad avere ordinato i peccati è la maggioranza privata. Semplice: l’accusa contabile contro la parte pubblica (i rappresentanti del Comune) è di avere tollerato il sacco del socio privato, di essere diventati praticamente dei complici dei reati (ambientali quanto economici), di avere ingannato i contribuenti, di essersi girata dall’altra parte quando le discariche venivano inquinate e le libbre di rifiuti organici venivano pagate più del dovuto dai Comuni, quindi da tutti noi. Giuseppone lo ricorda senza enfasi: negli ultimi mesi ha ricevuto solo segnalazioni dei cittadini e nessuna dagli organi pubblici preposti al controllo. E questo non vale solo per la Gesenu o per l’Umbria, ma per tutta l’Italia. Quindi tutti avvertiti: d’ora in poi i complici verranno giudicati al pari degli autori. In fondo anche nelle favole dedicate alle bugie, il gatto è colpevole quanto la volpe. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero