Non si scoraggiavano facilmente i coriacei automobilisti degli anni '60. Sarà che erano nati durante la guerra, o la guerra l’avevano fatta addirittura,...
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Eppure era normale, anzi un grande privilegio, poter andare il sabato a trovare il resto della famiglia in villeggiatura, senza affrontare le incerte ferrovie… Ve lo immaginate, su e giù per quei tornanti, con sospensioni non certo molleggiate e i fari d’epoca che gettavano un flebile cono di luce sulla carreggiata, illuminando polvere e insetti. Però, proprio perché complicate, le gite restavano memorabili, come memorabili erano le fotografie (pochissime) che avrebbero scandito l’evento. I rullini avevano 24 “pose” (parola ormai desueta) e ci si pensava bene prima di scattare. L’automobile aveva il suo posto d’onore, ovvio. Di autoscatti neanche a parlarne. Le foto sarebbero state viste dopo settimane, forse mesi, mica si poteva sprecare tutto un rullino per una sola scampagnata, forse l’unica della stagione.
L’importante era immortalare i pupi, la macchina e poi una bella foto tutti insieme. Oggi abbiamo tutti i giga che vogliamo nelle potentissime SIM e ovviamente nel telefono. Si scatta a raffica, si condivide, si pubblica, si posta, si aggiusta pardon si ritocca con Photoshop. Ci ripensavo martedi scorso quando in meno di un baleno sono arrivato al Terminillo e poi rientrato nella stessa mattinata. Di foto ne ho scattate un’infinità e l’auto al ritorno era più lucida di prima. Qualche decennio fa, una gita al Terminillo rimase negli annali e nei ricordi di famiglia per anni: l’automobile aveva salito coraggiosamente tutti i tornanti senza andare in ebollizione, i bambini non avevano avuto mal di macchina, e il pic nic sul prato fu memorabile. Veloci, comodi, sicuri, ma la soddisfazione è la stessa dei nostri padri? Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero