GIOVE - Al sedicesimo giorno di zona rossa, una giovese, Rita Benigni, decide di scrivere una lettera aperta alle istituzioni e ai suoi concittadini. "Cari concittadini...
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La spesa in ordine alfabetico settimanale nei negozi paesani, encomiabili ma purtroppo insufficienti per le esigenze di tutti noi, così da costringere la nostra Protezione Civile (con l’aiuto del Comune di Attigliano e di volontari di Lugnano ed Amelia) ad approvvigionamenti fuori e consegne a domicilio, con inevitabili mancanze ed errori di prodotti. L’ufficio postale fa orario ultraridotto e con le tabaccherie chiuse pagare una bolletta o fare una ricarica telefonica è pressoché impossibile; inoltre l’unico bancomat funziona a intermittenza.
A questi ed altri disagi si somma per molti l’azzeramento del reddito a causa della totale sospensione di attività economiche oppure il rischio grave di perdere il lavoro fuori del perimetro, se la zona rossa non dovesse essere revocata o stemperata a breve. Scopo primario, quest’ultimo, per cui la popolazione si è sottoposta in massa allo screening sierologico a tappeto disposto dalla Regione, con tempistiche opinabili.
Tutti insieme ne usciremo, continuiamo a ripeterci. Con l’orgoglio di appartenere ad una comunità che nel mezzo della tempesta è rimasta unita, non ha cercato colpevoli e non ha additato untori. Ma anche con la comune, amara sensazione di solitudine, per la mancanza di considerazione specifica e persino di qualsivoglia parola di incoraggiamento e di solidarietà, da parte delle Istituzioni civili (Prefettura, Regione, molti Comuni limitrofi). Non ultimo per le carenze della stampa, che si è affrettata a concederci la ribalta con titoli allarmistici sui numeri del contagio, spesso non rispondenti alla realtà del momento, preoccupandosi ben poco delle persone.
Dimenticheremo invece le tante voci, dentro e fuori dai social, che fin dai primi contagi ci hanno additati come indesiderati untori, causa del proprio male per supposti comportamenti sconsiderati. Autoconsolatoria motivazione, umanamente comprensibile, che offende chi l’epidemia la vive, sapendo di aver rispettato le regole di distanziamento non meno di altri. Ma pazienza, tant’è.
Tutti insieme ne usciremo, continuiamo a ripeterci, avendo negli occhi l’Italia migliore, fatta di una comunità ferita e impaurita che tuttavia va avanti con l’aiuto di molti amici oltre il confine; ma anche l’Italia che non ti aspetti e che oggi sollecitiamo a cambiare passo. Alle istituzioni in indirizzo chiediamo con forza un’immediata riconsiderazione delle misure restrittive, che coniughino la tutela della salute con le necessità lavorative di molti concittadini, abbreviando il termine finale del 3 maggio o consentendo almeno a coloro che sono risultati negativi ai test di riprendere le attività lavorative fuori dal perimetro, ma anche dentro in assenza di contatti interpersonali.
In ogni caso chiediamo l’adozione di misure immediate per assicurarci i servizi essenziali (con la riapertura delle tabaccherie, il perfetto funzionamento del bancomat, l’arrivo nei nostri negozi di generi di necessità quotidiana in quantità e qualità adeguata); ed ancora l’invio di fondi speciali per far fronte alle tante esigenze alimentari che la zona rossa ha generato ed aggravato. Affinché l’Italia che non avremmo mai voluto vedere si riscatti, per non ripresentarsi mai più a nessun’altra comunità cui dovesse toccare analoga sorte. Con osservanza, ed in fiduciosa attesa" Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero