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C'è Nikita, 18 anni, a Terni da un anno. E' ucraino, è venuto via prima dello scoppio della guerra per vivere con i suoi zii, ma pensa alla sua famiglia che è ancora là. C'è anche Ibrahim, suo coetaneo, venuto via dall'Afghanistan poco dopo la restaurazione del regime talebano, anche lui per venire a vivere con dei parenti in Italia, ma non può fare a meno di pensare ai genitori e ai fratelli rimasti laggiù. Due ragazzi venuti da parti del mondo dilaniate da guerre e altre brutte situazioni. Ma ad aggiustare tutto e a far dimenticare per un po' le angosce, bastano un pallone e l'amicizia con tanti ragazzi come loro, venuti da ogni parte del mondo. Il pallone aggiusta tutto. Può anche questo, un progetto come quello dell'Ipsia Sandro Pertini Cpia, con il quale la scuola ha coinvolto 38 adolescenti, giunti da più parti del mondo. Per lo più, minorenni non accompagnati, seguiti da associazioni onlus convenzionate con l'Ipsia. Arrivati, oltre che da Ucraina e Afghanistan, anche da Pakistan, Bangladesh, Mali, Nigeria, Tunisia, Burkina Faso, America Latina. Il progetto li integra tra loro, insegna loro la lingua italiana, favorisce l'integrazione tra ragazzi di diverse culture, etnie e religioni. Tra una lezione serale e l'altra, è nato così il progetto “Torneo del mondo”, con i ragazzi divisi in squadre. Al campo della Farini di via del Raggio vecchio si sono sfidati in un torneo con le finali giocate il 7 luglio 2022. Calcio e spensieratezza, tra gli incitamenti degli insegnanti. Da Matteo Bottegoni, guardalinee di serie A che ha coordinato il torneo fino al dirigente scolastico dell'Ipsia Fabrizo Canolla che ha voluto questa iniziativa. «Non c'è giorno che passo qui che non pensi al mio Paese - dice l'ucraino Nikita – perché la mia famiglia è lì. Mi sento con loro e sono in contatto anche coi miei amici. Mi raccontano ciò che succede... ». Si ferma, sospira, china lo sguardo, riprende fiato. «Scusate, ma è difficile anche parlarne. Penso ai miei amici, ai miei genitori, a tanti ragazzi e bambini, a tutti coloro oggi minacciati e danneggiati dalla Russia. Ma il calcio è importate. Quando gioco al calcio, accantono per un attimo pensieri e preoccupazioni». Proprio come Ibrahim, con il cuore sempre alla sua Afghanistan. Anche lui vive con una zia. «Sono arrivato qui con l'operazione militare italiana di evacuazione. Mio padre, mia madre, mia sorella e i miei due fratelli, però, sono ancora lì. Ci sentiamo ogni giorno. Da noi c'è un situazione brutta e purtroppo non possiamo farci niente. Qui ho trovato accoglienza, anche nei confronti di noi immigrati.
Il Messaggero