Covid, in partenza a Perugia la nuova soluzione monoclonali

Covid, in partenza a Perugia la nuova soluzione monoclonali
PERUGIA Un’arma in più per combattere il virus quando ad essere contagiati sono soggetti che presentano altri seri fattori di rischio. Una nuova frontiera che arriva...

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PERUGIA Un’arma in più per combattere il virus quando ad essere contagiati sono soggetti che presentano altri seri fattori di rischio. Una nuova frontiera che arriva dalle cure monoclonali, declinate nello studio clinico “osservazionale-no profit” deliberato dall’Azienda ospedaliera di Perugia il 6 agosto, ottenuti il disco verde del Comitato etico regionale e l’approvazione del Consiglio di Medicina e chirurgia dell’UniPg. Sperimentatore della ricerca, l’infettivologa Daniela Francisci, direttore di Malattie infettive al Santa Maria della Misericordia. Il progetto vede la stretta collaborazione dei medici di famiglia ed è rivolto ad esempio agli infetti in forma lieve alle prese, ad esempio, con diabete mellito, obesità o insufficienza renale.


Professoressa Francisci, in cosa consiste tale nuovo studio?
«Ha lo scopo di verificare l’efficacia dell’associazione di anticorpi monoclonali (bamlanivimab+etesevimab o casirivimab+imdevimab) nel bloccare l’ingresso del virus SARS-CoV-2 e delle sue varianti nelle cellule della persona contagiata e quindi evitare la progressione dell’infezione in pazienti affetti da forme lievi-moderate di COVID-19, non ospedalizzati, ma ad alto rischio di sviluppare forme gravi».
Ci ricorda cosa sono gli anticorpi monoclonali?
«Sono proteine create in laboratorio che hanno le stesse caratteristiche di quelle prodotte nel nostro organismo ma che sono capaci di agire legandosi a bersagli specifici del virus all’origine dell’infezione. Nel caso dei monoclonali anti COVID-19, gli anticorpi sono diretti verso la proteina “spike”, presente sulla superficie del coronavirus, che come noto media l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite. Il legame con l’anticorpo impedisce l’attacco del virus al recettore specifico e quindi l’ingresso nella cellula. Questo può consentire di limitare l’infezione, accelerare il processo di guarigione ed evitare l’aggravamento del quadro clinico. Studi internazionali hanno chiaramente dimostrato che la combinazione di anticorpi monoclonali è tanto più efficace quanto più precoce è la somministrazione, possibilmente entro i primi 5 giorni e comunque non oltre i 10 dalla diagnosi».
Quali pazienti saranno inseriti nello studio?
«I candidati sono pazienti con infezione da SARS-CoV-2 di recente insorgenza, documentata attraverso il tampone molecolare, che presentano un quadro lieve-moderato di malattia, non richiedono ossigeno e non sono ospedalizzati. Devono tuttavia presentare uno o più fattori di rischio come diabete mellito non controllato, obesità, insufficienza renale cronica: condizioni che pongono il paziente a rischio di sviluppare una forma grave di malattia».
Come si attiva la procedura?
«Viene avviata dal medico di medicina generale (Mmg) che segnala il paziente compilando un’apposita scheda e se il paziente risulta avere tutti i criteri fissati da AIFA, nel più breve tempo possibile, viene preso in carico dal reparto Malattie Infettive e sottoposto in regime ambulatoriale, previo rilascio di un consenso informato, all’infusione dei monoclonali per via endovenosa. Il trattamento dura circa un’ora, un’altra ora il paziente viene trattenuto in osservazione e poi riaccompagnato al suo domicilio».
Determinante anche il follow-up, come si articolerà?
«Per ciascun paziente saranno valutati dati anamnestici, clinici e di laboratorio; sarà eseguito un tampone nasofaringeo finalizzato all’isolamento del ceppo virale su colture cellulari in vitro nel laboratorio di virologia della clinica di Malattie Infettive; successivamente sarà eseguita la tipizzazione per identificare la variante virale».
L’efficacia dello studio come sarà valutata?
«Si testerà il siero del paziente post-infusione, ricco di anticorpi monoclonali, per verificare la sua attività neutralizzante sul ceppo virale isolato e si seguirà il decorso del caso nei 30 giorni successivi per valutare l’evoluzione clinica e l’eventuale ricovero».
Tale progetto come si inserisce nella lotta al Covid?

«L’infusione precoce di anticorpi monoclonali può essere un valido strumento in mano ai Mmg per migliorare la prognosi dei pazienti COVID-19 con fattori di rischio di gravità, riducendo il numero di ospedalizzazioni e il conseguente l’impatto sulle strutture ospedaliere».



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Il Messaggero