Tutti connessi, ma con zero competenze digitali. Le contraddizioni degli umbri

Tutti connessi, ma con zero competenze digitali. Le contraddizioni degli umbri
PERUGIA - Non basta avere un pc o un altro dispositivo per dirsi digitalizzati. In Umbria, il 90% di persone sopra i 16 anni accede sistematicamente a Internet, disponibile per il...

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PERUGIA - Non basta avere un pc o un altro dispositivo per dirsi digitalizzati. In Umbria, il 90% di persone sopra i 16 anni accede sistematicamente a Internet, disponibile per il 77,4% delle famiglie, col 30% delle unità immobiliari collegate alla banda ultra larga. Ma quasi la metà degli umbri dichiarano allo stesso tempo zero o scarse competenze digitali. Segno che il digital divide è un fenomeno più che concreto, come ricorda Fabrizio Fratini, presidente dell’Ires Cgil dell’Umbria. «Colpisce le fasce di popolazione più deboli come anziani, donne non occupate o in difficoltà, immigrati, tutti coloro che hanno un basso livello di scolarizzazione», osserva. «Per superarlo occorre compiere un balzo in avanti epocale utile ai cittadini ma anche al sistema socio-economico».


Un’elaborazione Ires Cgil Umbria su dati del Ministero dello sviluppo economico pone la regione ai primi posti in Italia per unità immobiliari collegate alla banda ultra larga. Quasi una su tre, pari a 34.335 edifici, quinto dato più elevato a livello nazionale, dopo Sicilia, Basilicata, Campania e Friuli. E la prospettiva è di ampliare tale copertura, considerando i cantieri in corso nelle due province. L’ultimo aggiornamento di aprile indica per la fibra 36 cantieri ultimati e 78 in esecuzione a livello regionale, mentre per il wireless, se ne contano 3 completati e 88 in corso. L’Ires parla comunque di ritardo sulla digitalizzazione che si accumula con «ataviche criticità legate all’isolamento infrastrutturale». Fenomeno che, come sperimentato durante la pandemia, ha accentuato le difficoltà. «Enti e aziende non possono pensare di fare solo operazioni di maquillage o piccoli e parziali interventi», spiega Fratini. «Non basta citare le parole “green” e “digitale”, aggiungendo poi “transizione”, senza rischiare di essere retorici. Il tema va affrontato, sia sul versante della cittadinanza che su quello del mondo del lavoro».

Le contraddizioni del progresso digitale sono evidenti in alcune statistiche Istat che indicano un massiccio uso di internet, nel 44,4% dei casi tramite un pc fisso, nel 24,2 tramite laptop o notebook, il 21,8% da tablet. C’è inoltre un 92% di persone che si connette tramite cellulare o smartphone. Un rapporto con la tecnologia, indagato dall’istituto di statistica, che sembrerebbe ideale, ma approfondendo la tipologia di approccio, si scopre che pur sempre connessi, il 3% degli umbri tra i 16 e i 74 anni non ha “competenze digitali complessive” nulle o scarse, il 26,8% “di base” e meno del 30% più avanzate. Uno degli aspetti nei quali gli umbri brillano, sono le “communication skills”, la capacità di comunicazione, appannaggio del 75,2% delle persone che usano abitualmente la rete. «L’incidenza dell’analfabetismo funzionale rimane però elevata», avverte Fratini. «Parliamo di persone che sanno leggere e scrivere ma non colgono il significato di un testo elementare e non sanno orientarsi nel mondo digitale, come la didattica a distanza e lo smart working hanno dimostrato». Il ritorno di indigenza da cui anche l’Umbria non è immune, ha inoltre evidenziato che una famiglia su tre circa non abbia in realtà un computer o un tablet di proprietà col gap digitale che rischia di pregiudicare anche la qualità del lavoro. «Non avere formazione digitale appropriata – sostiene il presidente Ires Cgil dell’Umbria - abbassa la qualità “del lavoro” e “nel lavoro”, rendendo più difficile anche la ricerca di un’occupazione. E alle imprese ricordiamo che digitalizzare non significa inviare una mail al posto di una lettera, ma adattare i processi aziendali alle nuove esigenze digitali, sfruttando le consistenti risorse pubbliche, rafforzando e aggiornando le competenze». Il rischio è restare indietro dal punto di vista della competitività, peggiorando al tempo stesso le condizioni lavorative. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero