PERUGIA - Una regione in emergenza economico-sociale che per consumi, Pil e indicatori del lavoro è ormai stabilmente scivolata verso sud. Un territorio che in 12 anni si...
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«Il quadro descritto dal rapporto Ires Cgil rischia di aggravarsi ulteriormente se si darà il via libera ai licenziamenti - spiega Vincenzo Sgalla, segretario Cgil Umbria – e ci pone di fronte ad un’urgenza senza precedenti e alla necessità di non sbagliare cura». Sgalla, infatti, assimila l’Umbria a “un malato grave”. «Da parte della Regione, ma anche delle nostre controparti datoriali, a partire da Confindustria – aggiunge Sgalla – non vediamo un atteggiamento all'altezza della drammaticità del momento». Secondo le stime Ires, la contrazione del Pil si aggira tra 1,5 e 2 miliardi, concentrata in settori chiave per la regione, come tessile-abbigliamento, metallurgia, mezzi di trasporto, costruzioni, ristorazione, attività culturali.
A questo si sovrappone una crisi occupazionale grave con una riduzione del lavoro a termine che per la sola provincia di Perugia, tra gennaio e maggio è stata di quasi il 30%. «Con le nostre strutture di categoria e gli uffici vertenze Cgil – aggiunge Fabrizio Fratini, presidente Ires Cgil Umbria – abbiamo notato un consistente incremento delle dimissioni volontarie di lavoratrici madri impossibilitate a coniugare i tempi di lavoro con quelli della famiglia durante il lockdown. L’emergenza ha inoltre fatto emergere un incremento degli “scoraggiati”, con meno partecipazione al mercato del lavoro». Sullo sfondo, le aziende in stand-by, causa ricorso agli ammortizzatori sociali. «Al 30 giugno erano oltre 28 milioni le ore autorizzate tra Cig e fondi di solidarietà, con un incremento dell’800% rispetto al 2019. Numeri dietro ai quali leggiamo le sofferenze e le difficoltà di circa 27mila lavoratrici e lavoratori umbri che hanno subito una contrazione di reddito fortissima, pari a circa 81 milioni di euro». I riflessi dell’emergenza Covid si sono visti anche sulla disoccupazione cresciuta del 44% (40% la media nazionale), col dato umbro il peggiore dell’Italia Centrale (Abruzzo compreso). «Incrociando dati Inps e dei patronati confederali – spiega Fratini – dal 1° marzo al 9 maggio risultano 4.700 domande Naspi (la nuova indennità di disoccupazione) contro le 3.266 di tutto il 2019». Il 38,7% dei 119.000 lavoratori sospesi dal lockdown, inoltre, non ha ripreso a lavorare.
Criticità che si sono inevitabilmente riflesse sulla situazione delle famiglie rischiando di alimentare un altro indicatore negativo della regione: l’indice di povertà relativa, infatti, nel 2018 ha raggiunto il 14,3%, 2 punti e mezzo sopra la media nazionale. «I primi dati disponibili sulla propensione al risparmio delle famiglie umbre – aggiunge Fratini - nonostante le difficoltà registrano un aumento rilevante legato ai timori del futuro con un ulteriore crollo dei consumi». L’estensione delle misure restrittive ai mesi di maggio e giugno, si stima abbia prodotto ad esempio una riduzione dei consumi del 10% che a fine 2020, secondo Confcommercio peserà per il 7%. «Serve un progetto per l’Umbria – aggiunge Sgalla – e un uso oculato, trasparente e partecipato delle ingenti risorse in arrivo dall’Ue. L’alternativa è che, anziché migliorare, il malato peggiori e si allarghino le disuguaglianze sociali». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero