PERUGIA - Da una parte la liquidità in caduta libera, dall’altra il rischio di perdere raccolto, coltivazioni e, in prospettiva imprese e addetti. L’emergenza...
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La priorità è superare la carenza di liquidità ma questo potrebbe non bastare se, come osserva Agabiti, «settore agrituristico, vitivinicolo, florovivaismo e produzione di latte e carne ovicaprina sono già in ginocchio». Da qui la richiesta dello stato di calamità avanzata alla Regione. Ma il comparto umbro che si muove anche su altri versanti. «Intervenire sulla liquidità, ad esempio utilizzando le risorse non erogate dal Piano di sviluppo rurale, potrebbe non bastare – aggiunge Bartolini – se le aziende producono ma non vendono. Per questo abbiamo chiesto anche a Roma di collegare la social card al prodotto locale. Ci siamo già rivolti ai comuni di Città di Castello, San Giustino, Monte Santa Maria Tiberina, Todi, Bastia e Marsciano cui abbiamo chiesto di inserire nella card la possibilità di acquistare anche direttamente dal produttore». Fare la “spesa in campagna” per stimolare la domanda ed evitare sprechi. «Non possiamo permettere che i prodotti dell’agricoltura umbra si deteriorino e che le imprese agricole chiudano mentre c’è bisogno di cibo nelle case di tante famiglie in difficoltà», osserva Agabiti.
Programmare la fase due, per il comparto agricolo passa quindi da una corretta uscita dall’attuale momento. «Alla luce del virus, con giovani e donne della Cia, abbiamo messo a punto anche un progetto di consegna a domicilio. Abbiamo anche pensato di sviluppare una blockchain che, con l’aiuto dell’Anci, possa garantire che i prodotti venduti arrivino effettivamente dai nostri campi: un modo per aiutare a fare la spesa e garantire che i soldi pubblici delle card siano spesi in modo corretto». L’obiettivo è sostenere le produzioni locali che risentono anche del blocco dell’export. «L’economia globale non potrà ripartire nel medio termine – aggiunge Bartolini – per questo occorre programmare in primis il mercato interno sostenendo la presenza di prodotti italiani anche negli hard discount e scongiurare il rischio che la card stimoli gli acquisti di prodotti stranieri».
Altra questione, lo stop ai lavori agroforestali, dal taglio della legna al recupero nei boschi, che sta portando incertezze e danni al settore, con ripercussioni negative anche sulla futura disponibilità di legna come fonte combustibile. «La selvicoltura va sbloccata – sostiene Albano Agabiti – in quanto si tratta di un’attività che in prevalenza si svolge in boschi e foreste: le distanze tra gli operatori, dunque, possono essere rispettate in sicurezza. Occorre mettere le imprese del comparto in condizione di concludere le operazioni programmate. I boschi, gestiti in modo sostenibile assolvono funzioni importanti per tutta la collettività: importante presidio per la prevenzione di frane e alluvioni; patrimonio naturale di valenza turistica e ambientale». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero