Concorsopoli, i pm: «Scoperti 10 capi di imputazione al mese». Oggi tutte le richieste di condanna

Il processo Concorsopoli
PERUGIA - Oggi nell'aula degli Affreschi ci vorrà il pallottoliere. Per mettere in fila le richieste di condanna per gli imputati del processo noto come Concorsopoli,...

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PERUGIA - Oggi nell'aula degli Affreschi ci vorrà il pallottoliere. Per mettere in fila le richieste di condanna per gli imputati del processo noto come Concorsopoli, l'inchiesta iniziata il 12 aprile 2019 con l'arresto degli allora vertici dell'ospedale di Perugia, il dg Emilio Duca e il direttore amministrativo Maurizio Valorosi, dell'assessore regionale alla Sanità Luca Barberini e del già sottosegretario agli Interni Gianpiero Bocci, fino alle dimissioni e alla caduta della giunta regionale. Ma la vera bomba è esplosa alle 13 e 07 di ieri. Quando il pubblico ministero Mario Formisano ha anticipato alla corte la richiesta di assoluzione dall'accusa di associazione per delinquere nei confronti dello stesso Bocci e dell'ex presidente della Regione Catiuscia Marini. «Non ci sono elementi convergenti», ha spiegato. Un passaggio fondamentale che – nonostante l'invito a «non drammatizzare» questa contestazione, considerata «di ridotta portata» rispetto ai presunti falsi nel computo finale delle pene – inevitabilmente ha fatto sobbalzare le difese che quel 416 lo hanno sempre visto come il mostro da combattere. E da cui dovranno ora difendersi nelle arringhe finali Barberini e chi ha partecipato all'organizzazione delle prove concorsuali: oltre a Duca e Valorosi (per cui ieri è caduta anche l'ultima accusa, il peculato), l'ipotesi di vincolo associativo - secondo la procura – resta anche per Maria Cristina Conte, Rosa Maria Franconi e Antonio Tamagnini.

Per arrivare a questo inaspettato finale, Formisano ha ricostruito l'iter del capo di imputazione dai tempi in cui il giudice per le indagini preliminari Valerio D'Andria lo fece cadere. Spiegando, in estrema sintesi, come questa accusa «non va a descrivere un gruppo criminale ma sta a rappresentare un meccanismo clientelare diffusissimo di cui gli indagati sembrano essere dei semplici ingranaggi. Per l'esistenza di un sistema – fu il suo ragionamento -, che persegue obiettivo di pilotare le prove, tale associazione dovrebbe riprendere anche i politici». Una «provocazione», l'ha definita il pm e così portata davanti al tribunale del riesame. Che quel vincolo associativo, una volta inserita la politica, lo ravvisò. E così è stato fino a ieri, quando invece la procura mette sotto accusa la prassi, il “così si è sempre fatto”. Sterzando e portando alla corte ciò che può dimostrare: Barberini non più promotore ma semplice associato, che «segnala, consegna liste e fa pressioni sulle pratiche», Marini che, sì, «prende le prove, le raccoglie e con una rete di rapporti le veicola» alla candidata da favorire ma solo interloquendo con Duca. E Bocci che parla, è vero, sia con Duca e Valorosi, ma in un «contesto limitato» e «senza adesione organica a una struttura organizzata».
Che invece si troverebbe, per l'accusa, nell'«accordo di programma» tra gli altri, come provato nelle «ammissioni» di Duca e in quei continui plurali, anche preveggenti. Come la frase ascoltata dalla guardia di finanza il 2 luglio 2018: «Se mi intercettano scoprono che facciamo cinque reati l'ora». «Ancora quel “facciamo” - ha sottolineato il pm -, non poteva farli da solo, ci voleva un gestione strutturata. E comunque in 4 mesi di intercettazioni in effetti abbiamo scoperto 10 capi di imputazione al mese».
Perché comunque, pur con tutti i distinguo emersi in tre udienze, i reati fine restano. Come i falsi per il concorso di Maxillo facciale o le accuse per le prove per categorie protette, infermieri, Geriatria o Anestesia. Tra «un'impressionante serie di concorsi alterati», però, cadono – almeno per la procura – le accuse di favoreggiamento: sia per Bocci e Pasquale Coreno (perché il fatto non sussiste), che per Potito D'Errico e Domenico Riocci (per la tenuità del fatto).


«Cercheremo di dimostrare che le richieste di condanna sono infondate – ha commentato lo studio legale Brunelli che assiste Bocci e Barberini - e siamo sicuri che il tribunale saprà valutare a fondo, con accuratezza e con serenità, le questioni che gli sottoporremo». «La presidente Marini – ha sottolineato l'avvocato Nicola Pepe - ha sempre conformato il proprio agire ai principi del superiore interesse pubblico, a salvaguardia del servizio sanitario regionale, così improntando il proprio operato a uno scrupoloso rispetto della legge e delle istituzioni». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero