Rigopiano, "Ossi di seppia" su RaiPlay racconta la tragedia di 4 anni fa

«Io sono al confine della valanga»: sei parole che racchiudono un mondo. E la fine del mondo. Le pronuncia tutte d’un fiato Giampiero Parete, cuoco e...

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«Io sono al confine della valanga»: sei parole che racchiudono un mondo. E la fine del mondo. Le pronuncia tutte d’un fiato Giampiero Parete, cuoco e sopravvissuto alla strage di Rigopiano, nella puntata di Ossi di Seppia. Il rumore della memoria, in streaming da oggi su RaiPlay, dedicata alla tragedia che sconvolse l’Italia il 18 gennaio del 2017: due scosse di terremoto, una valanga, un albergo – l’Hotel Rigopiano – sepolto dalla slavina. Parete era uscito dalla struttura per recuperare una medicina per la moglie, poi il boato, la caduta a faccia in giù nella neve, la scoperta di trovarsi, appunto, «al confine della valanga». Dura poco meno di mezz’ora, ma colpisce al cuore, la ricostruzione che il programma del giornalista Mauro Parissone fa del caso Rigopiano, raccontato – con il supporto di materiale fotogiornalistico e video dalle Teche Rai - dalla voce viva del testimone che per primo chiamò i soccorsi. «Rigopiano è una tragedia che rappresenta in pieno l’impensabile – spiega Parissone – perché impensabile è il terremoto, e impensabile è la valanga che ne è seguita. Ma ci dice anche quanto pesi, nelle catastrofi, la mano dell’uomo: aver creduto, sbagliando, di avere un potere immenso sulla natura».

Seconda delle 26 puntate in programma sulla piattaforma Rai, una a settimana, l’idea di Ossi di seppia non è quella di denunciare («Lo fanno già benissimo altri programmi»), ma piuttosto quella di «regalare ai ragazzi molto giovani, che magari si informano solo sui siti, un cofanetto di memorie che li aiutino a interpretare il presente». Agile il formato, brevi le puntate, per ogni episodio un avvenimento della storia recente, dal 1976 ai giorni nostri: «Non è una docu-serie e non vuole esserlo. È una serie non fiction, che rifiuta il format classico con intervista e immagini di repertorio. Qui c’è un lavoro di linguaggio e di pensiero». Tutte le “impensabili” storie raccontate – dal disastro di Seveso del 1976 al crollo del Ponte Morandi, dall’assassinio di Giulio Regeni alle dimissioni di papa Benedetto XVI – hanno infatti in comune un elemento: risuonano, ciascuna a suo modo, con il periodo che stiamo vivendo. «Volevamo parlare all’Italia del Covid, senza parlare di Covid», spiega Parissone. Ed ecco allora le immagini commoventi della famiglia di Rigopiano – il cuoco, la moglie, i due figli estratti vivi dalla slavina – che fanno colazione in lockdown, sotto all’arcobaleno dell’”andrà tutto bene”.

O ancora le tute bianche e il «restate a casa», oggi sinistramente familiari, che furono una costante delle catastrofi di Seveso e di Fukushima. O il senso di soffocamento che attanaglia chi è costretto all’isolamento: in casa o in prigione. «Pensando al tema della claustrofobia, nella sesta puntata ho invitato Sergio Cusani. Si è fatto anni di galera per Tangentopoli, e verrà a raccontarci cosa significa essere privati della libertà. L’ultima intervista l’aveva data a Biagi nel 1994». Se il format dovesse funzionare, per la seconda metà dell’anno sono già in cantiere altre 26 puntate, sempre prodotte da 42° Parallelo: «L’immagine che emerge, alla fine di questo viaggio, è quella di un paese che spesso ha perso la bussola. Speriamo che ci serva come medicina per frenare la perdita della memoria collettiva».

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Il Messaggero