“Dov'è il mio corpo” su Netflix tra magia e realismo

Un momento di "Dov'è il mio corpo"
Sembra impossibile ma dentro Netflix, in uno stesso film, troverete una mano amputata che cerca di sgattaiolare verso il suo padrone attraversando tutta Parigi e poi un...

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Sembra impossibile ma dentro Netflix, in uno stesso film, troverete una mano amputata che cerca di sgattaiolare verso il suo padrone attraversando tutta Parigi e poi un adolescente marocchino occhialuto traumatizzato dalla morte dei genitori innamorato perso di una bibliotecaria appassionata de Il mondo secondo Garp di John Irving. Si possono unire magia e realismo? Certo che sì se l’autore del racconto da cui è tratto questo splendido cartoon Dov'è il mio corpo è quello stesso Guillaume Laurent sceneggiatore della fiaba metropolitana di culto Il favoloso mondo di Amélie (2001).


Da una parte seguiremo le peripezie della mano mozza ma non rozza (ci vede bene e pare pure assai furbetta), tra cui appendersi al collo di un piccione per non cadere da una grondaia, affrontare tre topi nei binari della metro brandendo un accendino e provare a suonare il pianoforte nella casa di un cieco dopo che il suo cane l’ha scambiata per un osso succulento. Contemporaneamente impariamo a conoscere Naoufel, il quale è finito a vivere con zio e cugino odiosi in Francia dopo infanzia idilliaca a Rabat, coccolato da mamma e papà artisti. Finale aperto di grande fascino. Gli appassionati del racconto Il naso (1834) di Gogol non possono farsi scappare il dichiarato omaggio da parte di Laurent, anche se nel caso del grande scrittore russo l’arto scappava dal proprietario mentre qui è cerca il ricongiungimento. La deliziosa eccentricità diretta dall’esordiente Jérémy Clapin è stata nominata all’Oscar come Miglior Film d’Animazione, dove ha perso contro Toy Story 4, dopo essere stata molto apprezzata al Festival di Cannes 2019 dentro la sezione competitiva Semaine de la Critique. Ovviamente ha vinto pure il César in patria. Ce l’avessimo noi italiani dei cartoni animati così belli. In questo genere cinematografico abbiamo perso la mano. E anche la testa.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero