Baglioni e i migranti/Sanremo, i giochi per l’audience dietro le invettive

A Sanremo, parlando di Festival, c’è una regola che ben conoscono quelli che lo frequentano e che ne muovono i fili: non sono solo canzonette. Le canzoni sono il...

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A Sanremo, parlando di Festival, c’è una regola che ben conoscono quelli che lo frequentano e che ne muovono i fili: non sono solo canzonette. Le canzoni sono il cuore, gli ospiti il colore, le polemiche la linfa vitale. Si può dire che è così da sempre. 


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Tanto da alimentare il sospetto che agitare lo spettro di feroci scontri non venga sempre per nuocere. L’ultima bufera, innescata dal direttore artistico che ama definirsi dirottatore (e che è già riuscito a dirottare tutta l’attenzione sulla sua creatura) ha mosso reazioni, commenti, titoloni, un quasi licenziamento (quello del dirottatore di cui sopra), una riassunzione (sempre del dirottatore), il solito sconquasso di pro e contro, politici e non. 
 

Sembra già di vivere il clima di Festival epici (quello antiberlusconiano di Bono e Jovanotti e quello, sempre antiberlusconiano, di Crozza beccato dal pubblico), quello di Ferrara che minacciava sbarchi a mano armata di ortaggi se Benigni si fosse esibito nell’ultima serata etc, etc. Minacce di sfide cruente che non hanno mai visto scorrere il sangue, ma hanno sempre avuto un effetto magico: quello di gonfiare gli ascolti in un volano che si autoalimenta, perché il palcoscenico di quel teatro chiama l’attenzione di tutto il Paese e a salirci ci prova chiunque, ben sapendo di impugnare un megafono. Probabilmente Baglioni, l’altro giorno, avrà voluto dire la sua perché la pensa così sugli sbarchi, ma non c’è dubbio che la sua uscita, se da una parte ha suscitato l’ira politica di Salvini, quella televisiva della neo direttrice di Rai 1, Teresa De Santis, e tutto il resto (compreso il lasciapassare dell’ad di viale Mazzini, Salini), dall’altra ha creato il presupposto per alzare la temperatura del suo secondo Sanremo, che voleva autarchico: niente ospiti stranieri, ma polemiche tutte italiane. 


Un siparietto così ben congegnato da alimentare il sospetto di premeditazione. Adesso può starne sicuro, qualsiasi starnuto potrà trasformarsi in un tuono, grazie anche all’imminenza delle elezioni europee (del resto, il Festival ha una posizione strategica in un mese, febbraio, che cade ogni volta in campagna elettorale, per di più in un Paese dove si vota con alta frequenza). Una bella polizza di assicurazione i cui benefici andranno anche a casa Rai, sotto forma di Auditel. A beneficiarne sarà la stessa De Santis, alla sua prima prova di fuoco, come il neo amministratore delegato Salini, come lo stesso Baglioni, come i cantanti, come gli ospiti. Restano gli spettatori, ma ci hanno fatto il callo. «È arrivata la bufera, è arrivato il temporale, chi sta bene e chi sta male e chi sta così così», cantava Renato Rascel tanti anni fa in una canzoncina contro la guerra. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero