Gli impulsi elettrici al cervello aumentano l'intelligenza, o forse sarebbe più corretto dire che rendono meno stupidi. Non si tratta di fantascienza ma di realtà...
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«È quindi possibile allenare e migliorare le capacità cognitive - spiega Simone Rossi, appena eletto presidente della Società italiana di psicofisiologia - anche e soprattutto in quei soggetti che sembrano avere una minore rapidità di ragionamento, tramite la stimolazione corticale elettrica, sia con correnti alternate, come in questo studio, ma anche con corrente continua o magnetica ripetitiva. Un risultato che apre scenari molto particolari nell'utilizzo di queste metodiche in persone che hanno deficit cognitivi, di attenzione o di memoria, tramite la modulazione non invasiva dell'attività cerebrale che sottende a determinate funzioni. Il prossimo obiettivo è capire perché, a parità di stimoli e impulsi elettrici, alcuni soggetti rispondono meglio di altri. Questa distinzione è fondamentale per pianificare le attività di riabilitazione cognitiva in persone con particolari malattie neurologiche, psichiatriche o neurodegenerative».
A tal riguardo, insieme all'Uoc di Genetica medica, diretta da Alessandra Renieri, è in corso di realizzazione uno studio per valutare quanto le caratteristiche individuali dei soggetti, incluse quelle genetiche, possano influire nelle modalità di risposta agli stimoli elettrici. «In questo studio - aggiunge Santarnecchi, responsabile della ricerca - arruoleremo un campione ampio di soggetti che saranno valutati tramite test cognitivi, prelievi genetici, risonanza magnetica funzionale ed elettroencefalografia a riposo per capire quanto il profilo delineato in ciascuna di queste indagini possa contribuire alla risposta ai protocolli di stimolazione e al conseguente potenziamento cognitivo. Identificare i candidati migliori per ciascun trattamento, puntando in futuro alla creazione di protocolli di stimolazione individualizzati, può essere un punto di svolta per l'applicazione clinica su larga scala della neuromodulazione non-invasiva». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero