Sceriffi contro l'app Waze: «E' un modo per stalkerarci»

Waze
Gli sceriffi d'America puntano il dito contro il popolare servizio di navigazione GPS Waze colpevole, a dir loro, di segnalare la presenza delle pattuglie di polizia e...

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Gli sceriffi d'America puntano il dito contro il popolare servizio di navigazione GPS Waze colpevole, a dir loro, di segnalare la presenza delle pattuglie di polizia e favorire così i criminali. Waze, comprato da Google per 966 milioni di dollari nel 2013, è un fortunato mix di navigatore GPS e social network. Cinquanta milioni di utenti in 200 Paesi del Mondo possono comunicare fra di loro segnalando incidenti, rallentamenti, strade interrotte, consigliandosi l'un l'altro al fine di evitare traffico e problematiche stradali. E, sì, fra le segnalazioni che gli utenti si inviano ci sono anche quelle relative agli stazionamenti della polizia.




Attraverso una specifica icona sulla mappa, Waze segnala la presenza degli agenti in strada, che sia per un posto di blocco, un controllo di norma o una pausa pranzo. Secondo il sindacato degli sceriffi è proprio questa funzione a mettere in pericolo le vite degli agenti nel caso di un killer di poliziotti, in quale potrebbe facilmente individuare i suoi obiettivi attraverso Waze.



Sergio Kopelev, un vice sceriffo del Sud della California, Waze non è altro che un metodo per stalkerare le forze dell'ordine. Sebbene finora non vi siano registrati casi di aggressioni alla polizia avvenuti tramite l'uso della popolare app, Kopelev e altri suoi colleghi sono convinti si tratti solo di una questione di tempo e stanno cercando supporto da parte delle altre forze dell'ordine. L'idea è quella di organizzare un gruppo di pressione affinché Google elimini la funzione che individua i blocchi di polizia.

Questa nuova accusa mette Google di nuovo al centro del dibattito sulla sicurezza pubblica, diritti del consumatore e privacy. Nel 2008 una coppia inglese ha denunciato la compagnia di Mountain View per intrusione della privacy, dopo aver visto l'interno del proprio cortile domestico su Google Maps, alla mercé di qualsiasi utente del servizio di mappatura stradale.



Nel 2012 è il garante della privacy tedesco Marit Hansen a rimarcare la mancanza della specifica richiesta di condivisione automatica della posizione sulla app di Maps, attiva già a priori. A luglio 2014, invece, un ristoratore americano, Rene Bertagna di origini italiane, ha denunciato Google dopo aver scoperto che la sua pagina su Google Places era stata modificata con informazioni false. Dopo un processo durato due anni, il perito informatico del tribunale ha effettivamente verificato come il profilo fosse hackerato, ma difficilmente Google si prenderà la colpa, dato che Google Place è un progetto in crowdsourcing.



Una portavoce di Waze, Julie Mossler, ha indicato la disponibilità della compagnia a collaborare e condividere informazioni con il dipartimento di polizia di New York e con altri che ne faranno richiesta. Google non ha commentato. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero