Parmitano, l'astronauta sopravvissuto due volte in cielo e in orbita

L'astronauta Luca Parmitano
Per non causare morti tra la popolazione ha rischiato la propria pelle nei cieli d'Europa nel 2005. E poi l'ha rischiata di nuovo in orbita nel 2013. L'uomo che è...

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Per non causare morti tra la popolazione ha rischiato la propria pelle nei cieli d'Europa nel 2005. E poi l'ha rischiata di nuovo in orbita nel 2013. L'uomo che è sopravvissuto due volte dopo aver staccato l'ombra da terra (e dalla Terra) è Luca Parmitano, che per quella prima impresa è stato decorato con la medaglia d'argento al valore militare.








La vicenda più nota è senza dubbio la seconda: il 16 luglio scorso l'astronauta dell'Esa e dall'Asi rischiò di morire annegato per infiltrazioni di acqua nel casco durante la seconda passeggiata spaziale all'esterno della stazione internazionale. Il maggiore pilota sperimentatore dell'aeronautica militare quel giorno ha visto da molto vicino la morte in faccia, ma almeno sapeva che l'incidente non avrebbe potuto causare altre vittime.



SANGUE FREDDO

Non è poco quando devi fare ricorso a tutto il tuo sangue freddo e all'addestramento per fronteggiare una situazione drammatica e per di più totalmente inedita come il guasto, si è scoprto solo dopo mesi di accertamenti, della pompa della tuta spaziale che separa l'acqua dall'aria. Completamente diverso e meno noto, anche perché il protagonista ne parla solo se interrogato, lo scenario dell'11 maggio 2005 e non certo soltanto perché si passa dai 400 km dell'orbita a 28mila kmh della stazione spaziale alla manciata di km della quota in cui l'Amx pilotato dall'allora capitano Parmitano si scontrò con una cicogna riportando gravissimi danni.



L'ISTINTO

L'istinto, in questi casi, urla di azionare subito il seggiolino eittabile. Il cervello e il cuore, invece, aiutati dall'addestramento ricevuto fin dall'accademia militare di Pozzuoli, hanno convinto Parmitano a tentare di portare a terra il velivolo sia pure rischiando di morire. Nessun istinto suicida, ma la consepevelozza che il jet da cui si sarebbe catapultato poteva preciptare su zone densamente popolare dell'Europa centrale. La memoria della tragedia di Caselecchio del 1995 è inchiodata nella memoria di tutti, a cominciare da quella dei piloti.



SEGGIOLINO A RAZZI

La potenza con cui il seggiolino a razzi Martin-Baker proietta il pilota e il seggiolino fuori dall'abitacolo rende infatti impossibile stabilire al 100 per cento la traiettoria del velivolo abbandonato. Parmitano decise allora di giocarsi la vita, all'epoca aveva 29 anni, per non rischiare quella degli altri e si avventurò in un rientro a terra ai limiti delle possibilità umane. Una decisione che gli è valsa la medaglia d'argento e, anche, un'esperienza che, come ha spiegato anche in questi giorni, gli è risultata fondamentale durante la seconda passeggiata spaziale in cui si è trovato di nuovo a manovrare in cielo con scarsa o punto visibilità e senza collegamenti con l'esterno ad eccezione di quella voce lontana che voleva convincerti che la tua ora era arrivata.



LA MOTIVAZIONE


Ecco la motivazione dell'onorificenza ricevuta nel 2005: «Il giorno 11 maggio 2005, durante l'effettuazione del corso di Tactical Leardership Program, il capitano Luca Parmitano, in qualità di Capo coppia e con Gregario il Mission commander di una missione estremamente difficoltosa, impattava con il proprio velivolo AMX contro un volatile di grosse dimensioni (successivamente individuato come una cicogna) sul Canale della Manica. Tale impatto, avvenuto sul blindovetro, provocava la distruzione del primo strato dello stesso, il parziale distacco del montante sinistro e l'esplosione dell'Head-Up display. In condizioni di altissima criticità, dopo avere eseguito tutte le azioni d'emergenza previste dal Check - list, non esitava a valutare la possibilità di rientrare nella base estera di rischieramento lontana, per il successivo atterraggio. Le condizioni di scarsissima visibilità esterna causate dall'impatto con volatile, la quasi totale avaria radio in ricezione date dal rumore in cabina, le precarie condizioni di aeronavigazione, seppur giustificando anche un'eventuale eiezione, non gli impedivano di mantenere nervi saldi e sangue freddo. Il Gregario, capo rischieramento del contigente italiano, avallava la decisione di tentare l'atterraggio sulla base di rischieramento e monitorava il velivolo incidentato dalla posizione di chase, prendendo il controllo delle comunicazioni T/B/T e della navigazione, lasciando al pilota in emergenza la conduzione del velivolo, che si rivelava estremamente difficile e impegnativa. L'atterraggio da lungo finale, avveniva in condizioni quasi proibitive, dovute a problemi di visuale ridottissima, in parte ovviati dai suggerimenti del chase sulle correzioni di traiettoria e a problemi aerodinamici a bassa velocità legati alla rottura del blindovetro. Il capitano Parmitano riusciva superbamente a concludere l'emergenza con l'atterraggio sulla base designata, ottenendo il plauso di tutto il contingente e dello staff aviatorie, dando lustro ed onore, dato il contesto internazionale, al reparto, All'Arma Azzurra ed alla stessa nazione italiana».

— Cieli del Belgio, 11 maggio 2005 Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero