I robot «intelligenti» che imparano a parlare e studiano una cura per il cancro, ma anche i software, ormai 'app', che in autonomia scrivono discorsi politici...
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«L'idea di intelligenza artificiale che abbiamo oggi la dobbiamo a lui», osserva Daniela Rus, direttore del laboratorio AI del Mit che Minsky - insieme a John McCarthy - ha contribuito a fondare nel 1959 coniando l'espressione stessa di «intelligenza artificiale». Parlano chiaro i titoli dei libri più celebri di Minsky, da La società della mente del 1985 a The emotion machine del 2006. Per le sue ricerche ha ricevuto numerosi premi tra cui l'ACM Turing Award. Lo scienziato era convinto che l'informazione digitale dovesse essere condivisa liberamente, nozione che gli odierni software "open source" hanno fatto propria. Ha preso parte all'originario progetto ARPAnet, la "madre" di internet.
E a conferma di una personalità tanto brillante quanto eclettica - era pure un pianista di talento - c'è la sua collaborazione con Stanley Kubrick e Arthur Clarke per 2001 Odissea nello spazio. Minsky considerava il cervello come una macchina che può essere studiata e il cui funzionamento poteva essere replicato in un computer. Questo, a sua volta, poteva rivelare i meccanismi del cervello umano. Tra gli innumerevoli meriti quello di aver sviluppato gli antenati dei robot intelligenti. I suoi studi ci lasciano un'eredità tutt'altro che astratta o teorica. Oggi sono già fra noi Pepper, il robot umanoide che capisce le emozioni, ma anche il robot bambino iCub, dell'Istituto Italiano di Tecnologia.
L'ultimo rapporto del World Economic Forum ha preventivato la perdita di 5 milioni di posti di lavoro entro 4 anni proprio per l'impiego di macchine intelligenti.
Il Messaggero