ROMA (19 agosto) - Potrebbe essere una sentenza che fa giurisprudenza, quella emessa dalla Corte Suprema di New York contro Google. Una sentenza che mette a rischio l'anonimato...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Nell'agosto 2008 Liskula Cohen, residente a New York, apparsa in copertina su Vogue ed Elle, era stata diffamata sul blog che ne pubblicava alcune foto con commenti tipo «forse era sexy dieci anni fa», «psicotica, bugiarda, puttana», «la disperazione trapela dalla sua anima, sempre che ne abbia una». La Cohen si era rivolta al tribunale di New York per chiedere a Google di smascherare il detrattore. «Se qualcuno ti attacca per strada tu non lo lasci andare come se niente fosse, come potevo ignorarlo?», ha spiegato la modella a Good Morning America. G
Google non ne voleva sapere di rivelare l'identità del blogger. Glielo ha adesso imposto la sentenza del giudice Joan Madden: «La protezione del diritto di comunicare anonimamente dev'essere bilanciata dall'esigenza di assicurare che le persone che scelgono di abusare di questo mezzo possano rispondere di una trasgressione», ha spiegato il magistrato.
Attraverso l'indirizzo IP, Google ha individuato l'autore di quei post, fornendone anche l'email. Si è così scoperto che si trattava di una conoscente della Cohen, «una che mi trovavo sempre tra i piedi al ristorante o alle feste», ha ricostruito la modella. La donna si è dapprima scusata di tutto, poi ha detto di non sapere di cosa si stesse parlando, infine ha accettato di rimuovere volontariamente il blog pieno di insulti dopo che il giudice aveva respinto la tesi dei suoi avvocati che «i blog sono un moderno forum per comunicare le proprie opinioni, incluse le invettive». Soddisfatto il legale della Cohen, Steven Wagner: «Internet non è un posto dove diffamare liberamente la gente. Questo cambierà il modo in cui alcuni si comportano in Rete». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero