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Il mondo si salverà anche grazie ai ragazzini, come argomentato dalla Morante nel ’68. Ma pur sempre di ragazzini stiamo parlando ed è meglio non dimenticarlo. Soprattutto auguriamoci, in qualità di persone prima che di tennisti, che non lo dimentichino loro: perché saltare a piè pari un’epoca dell’esistenza non conduce mai a nulla di buono. E i buchi di personalità che si creano quando invece si cresce troppo in fretta poi inghiottono sempre qualcosa dopo, nella vita. Sia su un campo da tennis sia fuori.
RAGAZZINO
Carlos Alcaraz ieri non ha avuto problemi a ricordare di essere un ragazzino. Anche se da un paio d’anni (cioè da quando ci si è accorti che pure Nadal perdeva i capelli) la macchina comunicativa del tennis iberico (e non solo) lo indica come l’erede al trono del regno di Rafa. Il murciano allenato da Juan Carlos Ferrero (vincitore a Roland Garros quando lui nasceva) ha rimediato tre game (6-1 6-2) nel giorno del suo diciottesimo compleanno affrontando Rafa a Madrid. Ha rimediato una figura da ragazzino. Evviva. Tra l’uno e l’altro ci sono tre metri di campo e un paio di anni luce di esperienza e fors’anche di talento. La Spagna ha bisogno come il pane di un giovane sulle cui spalle, per fortuna non troppo fragili, poggiare una speranza per il futuro: ma se da un lato tale operazione ha un senso perché la Spagna non può restare senza capofila di un gruppo di alto livello che ha segnato un’epoca, dall’altro questa speranza è pericolosissima per un ragazzino con una racchetta in mano. Non sono più tempi di Chang che batte da sotto facendo schiumare di rabbia Lendl o di Becker che si tuffa in lungo e in largo sull’erba di Wimbledon tanto per parlare di adolescenti dall’esplosione precoce. E, per andare indietro nel tempo nemmeno di quel Pancho Gonzales, che non aveva mai preso una lezione di tennis in vita sua o almeno così tramandano i suoi biografi: a diciassette anni iniziò a girare per tornei, a 19 sposò Henrietta praticamente in clandestinità e a vent’anni vinse a Forest Hills. Correva l’anno 1948. Per la cronaca Henrietta non fu che la prima di una serie piuttosto lunga di donne conclusa da Rita Agassi, sorella di Andre, che Pancho sposò negli anni 80 e immaginatevi voi che cosa deve aver detto papà Richard quando lo venne a sapere. Oggi il tennis è una macchina trita adolescenze se non ci si presta attenzione. Alcaraz intanto ha continuato ad andare a scuola fino a pochissimo tempo fa e questo, pensate ciò che volete, aiuta a far sì che poi più avanti negli anni magari trovi la forza per tirare ancora un colpo in più e non imbestialirti perché il colpo prima non ti ha fruttato il punto, come avresti voluto. Più o meno ciò che fa ancora Nadal, che è il suo idolo e che un bravo fotografo avrebbe dovuto immortalare ieri a fine match quando ha guardato il suo avversario con uno sguardo dietro al quale si poteva intuire (i bravi fotografi servono a questo) una nota di malinconia per il fluire del tempo che la presenza dell’adolescente da lui appena travolto portava in evidenza ai suoi occhi.
SCALARE L’HIMALAYA
Alcaraz con Nadal ci si è allenato un’ora e mezza (prima dell’oretta di lezione di ieri) in Australia; Sinner, che ha due anni malcontati in più dello spagnolo, molto di più.
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Il Messaggero