Simeone in finale, il cholismo è la nuova moda. I media spagnoli divisi: «Così va il calcio...»

Diego Pablo Simeone, classe 1970, allenatore dell'Atletico Madrid
Con aria felice e furbetta, Diego Pablo Simeone da Buenos Aires, detto El Cholo, 46 anni da qualche giorno, ieri sera si aggirava lungo i corridoi dell’Allianz Arena di...

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Con aria felice e furbetta, Diego Pablo Simeone da Buenos Aires, detto El Cholo, 46 anni da qualche giorno, ieri sera si aggirava lungo i corridoi dell’Allianz Arena di Monaco di Baviera. Aveva appena perso contro il Bayern Monaco di Pep Guardiola, ma anche aveva appena accompagnato l’Atletico Madrid alla seconda finale della Champions League degli ultimi tre anni. Come abbia fatto, pochi, o tutti, lo sanno. Di sicuro, una volta di più, l’esito del confronto si è tradotto nel trionfo assoluto del cholismo.


Così l’aggressività e il furore agonistico sempre predicati da Simeone hanno piegato la classe e i bei tratti tipici delle squadre di Guardiola. Stavolta la scuola rude ha aperto la cassaforte della filosofia. Dunque allo stadio Meazza di Milano, il 28 maggio, tornerà l’ex interista Diego Pablo, ora assurto a nuova e moderna divinità del pantheon del pallone. La stampa spagnola balla sul filo dell’indecisione e in fondo non sa bene se esaltare o ridimensionare l’impresa del Cholo. Perché, è ovvio, a superare il turno è stata la squadra più pragmatica, non certo la migliore. Al quadro, poi, va aggiunto che Guardiola in Spagna è considerato (a ragione) una sorta di profeta della panchina. Alla luce di una riflessione del genere, insomma, risulta più chiaro il titolo scelto dal quotidiano catalano Sport per la prima pagina: «Il calcio è così».

Già, l’estetica e la bellezza si sono lasciate sbriciolare dalla concretezza e dalla ruvidezza. Come accade con regolarità, inevitabilmente il cholismo è divenuto una categoria imprescindibile del giocare a pallone e, quindi, si è convertito nella nuova moda del calcio. Viceversa, a pensarci, le trame di Guardiola ora si direbbero un poco appannate ma, non v’è dubbio, comunque pronte per ritrovare la lucentezza, e per tornare se stesse in un tempo diverso. È un momento di transizione.
Che sia un passo in avanti, un’evoluzione del calcio, ecco, forse questo è troppo.

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Il Messaggero