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L’aveva fermato non il coronavirus, ma il “cornavirus”, quelle che lui, Daiya Seto, professione nuotatore, giapponese ventisettenne di Moroyama, nella prefettura di Saitama, ha messo a Yuka Machubi, professione tuffatrice, un anno di meno e, all’epoca dei fatti, l’estate scorsa, moglie da tre anni e già madre di due bambini. Daiya non aveva resistito a una tentazione. Il tre volte campione del mondo dei 400 misti, un record, e una volta nei 200 dei quattro stili, era stato beccato mentre si infilava di soppiatto nella porta di un albergo di lusso di Tokyo. Era in compagnia di una ragazza che non era Yuka: un’occasione d’oro per il paparazzo appostato, un bello scoop per i giornali del gossip, un problema non solo personale e di famiglia per Daiya.
CAPITANO
Perché lui non solo era (e sarà di nuovo) un campione, ma per i ragazzi giapponesi è anche un mito e un modello di irreprensibilità, per i ricchi sponsor un testimonial da coccolare, per la Nazionale olimpica giapponese il Capitano. Con il particolare che in questo ruolo di rappresentante dell’impero del Sol Levante aveva firmato l’adesione a un codice etico, che non solo proibisce ogni scivolata verso sostanze proibite e rinforzanti, ma anche attentati a “comportamenti morali”.
GIOCHI IN FORSE
Il “forse” aleggia sia sull’inaugurazione che sulle Olimpiadi stesse. Colpa, stavolta, del coronavirus. Tokyo è di nuovo in lockdown ferreo, almeno fino al 31 gennaio, il Giappone è già sotto la terza ondata e gli organizzatori di Tokyo 2020, che è rimasto logo dei Giochi per non dover rifare tutta la mercanzia del merchandising. Già i costi sono cresciuti per il ritardo fino ad oltre 16 miliardi di dollari, tre più del previsto, ma c’è chi sostiene che alla fine si arriverà, se si arrivasse, a 23 miliardi. In più le polemiche si sono fatte furiose. I mezzi d’informazione abbondano in sondaggi nei quali la popolazione giapponese, sempre entusiasta nel passato nei confronti dei Giochi, a parte le sparute minoranze che come in ogni Paese dicono no a tutto, è favorevole a continuare nella programmazione olimpica soltanto al 27 per cento, il 63 per cento (la fonte è l’agenzia Kyodo) ne vuole il rinvio o l’annullamento, l’ulteriore 10 per cento è indeciso. Pesa la questione dei vaccini e della quarantena: la seconda, se di 15 giorni, renderebbe impossibile, per l’accavallamento di date, la presenza dei ciclisti del Tour, di Wimbledon e delle finali Nba; la prima ha già proposto una questione di nuovo “etica”: obbligatorietà per gli atleti (il Cio al momento non la richiede)? Priorità per gli stessi nei confronti delle categorie a rischio, mentre qui si tratterebbe di giovani e forti? Altre spese impreviste? E che fare del pubblico, ammetterlo o no? E le “fan zone”? Intanto tutte le mostre che sarebbero state dedicate alla fiaccola già da fine gennaio sono state annullate.
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Il Messaggero