Nella Serie A dei gol stranieri riecco il ghigno di Mourinho

Foto MANCINI
Dopo la terza curva si staglia davanti a tutti un ghigno piuttosto noto nel mondo, si chiama José, per gli amici Zé, solo che adesso è esclusiva...

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Dopo la terza curva si staglia davanti a tutti un ghigno piuttosto noto nel mondo, si chiama José, per gli amici Zé, solo che adesso è esclusiva proprietà di Roma, e corre sotto la Sud come un pazzo, come a Stamford Bridge, come a San Siro. Insieme a Mourinho, soltanto Pioli e Spalletti. Tutti e tre a punteggio pieno con squadre vive, che guizzano, pressano, vanno in verticale, reagiscono serafiche a tante difficoltà, come la Roma col Sassuolo. Poi gli altri. Sarri scivola e frana sotto il Milan, non si è visto nulla di sarriano e urgono provvedimenti, ma la rosa è piccina. Inzaghi slitta, la difesa dell’Inter torna distratta senza più lo stress di Conte addosso, e si sospettava. Gasperini non si raccapezza. Allegri guarda tutti dal basso. La Fiorentina può aspirare a un ruolo da settima sorella. Tra i romanisti comincia a montare qualcosa di difficilmente contenibile, ma è ancora l’alba di tutto, José il Vate ha detto pure che ha una panchina di ragazzini, quindi state buoni se potete (ma non potrete). Rimane la serie A degli allenatori. E degli stranieri, che segnano 20 gol su 28. Non dei centravanti, che fanno danni nella propria area: Kean, Dzeko, Immobile. Ibrahimovic fa il primo della classe e insieme Garrone: si permette il lusso di allacciarsi una scarpa mentre corre a segnare il 2-0 con trecciolina al vento, poi fa il bullo a giochi fatti, da antisportivo, e fa uscire dai gangheri Sarri.

Poveri allenatori, hanno tutta la pressione addosso e ora gli tocca pure l’intervista nel prepartita: li vedi rispondere rigidi e sospettosi, terrorizzati di svelare qualche intenzione o l’infernale nervosismo che li attanaglia in quei minuti. Sono tesi, facile che esplodano. Come Spalletti e Allegri a Napoli, Sarri a Milano. Dove Pioli trova l’antidoto con le marcature a uomo sui tre centrocampisti, correndo a velocità doppia e con un Tonali che è un altro atleta, con gambe improvvisamente d’acciaio e cambio di passo, da Nazionale. Scopriamo che la Lazio non ha ancora imparato a correre in avanti, cioè ad alzare la linea di difesa, perché è abituata da cinque anni a correre indietro, così lascia sbreghi che non si rattoppano. Luis Alberto continua a sembrarci poco adattabile al 4-3-3 di Sarri, e c’è Basic che lo supera in muscoli e in passo.

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Il Messaggero