Basta un effetto nemmeno troppo speciale di questi giorni - un po' di foschia - per sfumare la vista dell'orizzonte verso Roma ed ecco i legionari di Cesare...
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Poi però la foschia si dirada e si vede meglio: sul campo i legionari si sono in effetti rimpiccioliti: sono gli under 16 dell'Appia Rugby e del Colleferro che stanno battagliando sul campo da gioco più affascinante del mondo. Il pallone vola in cielo incorniciato dagli acquedotti romani lungo la via Appia che si stagliano subito dietro le porte ad acca: una grande bellezza che ha spinto anche il regista Sorrentino a girare qui alcune scene del film da Oscar.
SORRENTINO E L'OSCAR
«Da quando sono circolate sul web le prime foto del nostro impianto - dice Massimiliano Scaringella, avvocato e presidente del club nato sette anni fa - non riusciamo ad accontentare tutte le richieste di club inglesi, scozzesi, sudafricani, americani che vogliono venire a giocare sul nostro campo. Alcuni, increduli, chiedono se quelle immagini siano frutto di fotoshop.
Non parliamo, poi, da quando è uscito il film di Sorrentino». Macché foto-trucchi: qui si passa davvero in un battito di ciglia dal rugby del Sei Nazioni a scenari da harpastum di 2000 anni fa. Già lo stadio dei Marmi al Foro Italico è creduto da molti stranieri-tifosi un'opera delle antichità capitoline, figuriamoci qui che si può correre e placcarsi all'ombra di sette acquedotti (Claudio e Marcia compresi) o sopra, perché è sottorreaneo, le condotte dell'Anio Vetus. Intanto i minilegionari dell'Appia Rugby oppongono strenua resistenza alle incursioni della più equipaggiata coorte del Colleferro che viola più volte la meta dei romani. Il giovane arbiter di Frascati, Francesco Paoletti (figlio dell'azzurro Paolo, e vero e proprio triario), interpreta bene il regolamento concedendo molto ”vantaggio” per non spezzettare le azioni.
«Bravo - dice ancora Scaringella - perché l'importante e che questi ragazzini si divertano. Si immagini che quest'anno di atleti under 16 ne abbiamo a sufficienza per comporre due squadre e allora, invece di fare uno squadrone con i più bravi, schieriamo due ”quindici” ogni domenica dividendo equamente le forze, così si sentono tutti coinvolti. Poi magari perdiamo qualche match in più come sta avvenendo adesso, ma resta molto più importante evitare che proprio in questa età di mezzo i ragazzi lascino l'attività sportiva». Ragazzi preziosi, sia come rugbysti sia come futuri cittadini pronti a lottare rispettando le regole: e poi questi sedicenni sono nati nello stesso anno del Sei Nazioni, il 2000. Nativi digitali e ovali. E per di più quasi nessuno di loro arriva da famiglie con rugbysti: pochi anni fa sarebbe stato impensabile.
LONDINIUM
Quasi 2000 anni dopo la leggendaria sfida tra legionari romani e britannici nell'allora Londinium (ieri come oggi vittoria dei locali che si appassionarono all'Harpastum al punto da trasformarlo in rugby qualche secolo dopo), all'ombra dei millenari acquedotti romani si trovarono alcuni appassionati di vicende ovali: Fabio Ceccarelli e Gabriele Caccamo, fra questi. Alcune società ovali di Roma erano in cattive acque, altre si erano trovate senza campo da gioco e così le attenzioni si posarono su un abbandonato impianto per il softball dietro ai campi di tennis in via Appio Claudio. «Più che un impianto sportivo - racconta ancora Scaringella - quella zona della Fondazione Gerini era diventata una discarica. Difficile immaginare che in un parco archeologico sia stato possibile consentire un tale scempio. Vabbeh, lasciamo perdere... A ogni modo, rottame dopo rottame, pietra dopo pietra, l'area è stata bonificata dai volontari ed è stato tracciato il campo poi omologato dalla federazione». Già, il campo e null'altro, perché qui i vincoli sono rigidissimi.
«Giusto - ancora Scaringella - ci mancherebbe, ci sentiamo noi i primi custodi di questa meraviglia. Però qui è difficile anche ottenere il permesso di seminare l'erba. E avremmo bisogno di qualche struttura leggera e non definitiva per spogliatoi e accoglienza: qui tra pochi giorni arriveràdall'Inghilterra lo Stockwood Park e sarebbe bello ospitarlo in maniera almeno all'altezza dello scenario storico. Sapete che nel rugby il terzo tempo vale quanto il match».
Intanto l'Appia Rugby nel secondo tempo riesce a uscire dalle ridotte del castrum e a segnare tre mete al Colloferro. Sì, il passaggio dei treni e il sorvolo degli aerei diretti a Ciampino ogni tanto riportano al 2016, ma lo stagliarsi sul fondo a quasi 360 gradi degli archi degli acquedotti continua a togliere il fiato. «Per quanto enorme per le nostre forze - dice ancora il presidente - potremmo tentare di affrontare la realizzazione di un campo sintetico, che permetterebbe di far giocare ancora più ragazzini di questa zona di Roma, ci sono anche contributi federali, ma il Parco non lo permette. Eppure sarebbe una valorizzazione ulteriore e rispettosa dello stesso Parco con ancora più risonanza anche all'estero».
L'ORGOGLIO DELLA MAGLIA
Dell'Appia Rugby si è parlato nei giorni scorsi di nuovo sulla stampa britannica: è stato il pilone del Leicester Tigers, Tiziano Pasquali, a sfoggiare la maglia con il bellissimo logo degli acquedotti quando la società di vertice del campionato inglese ha chiesto a ogni giocatore di indossare la maglia del club di origine. «Siamo fieri di lui e dei nostri 300 ragazzini, a partire dall'under 6, che giocano ogni settimana.
E presto debutterà anche la squadra seniores, senza dimenticare gi oltre cinquanta old», dice l'allenatore Juan Manuel Bigi, origini argentine e una storia nel rugby non antica come quella degli acquedotti ma importante. Il padre Giuseppe Tullio fu tra il fondatori della Rugby Roma in cui ha poi giocato mediano di mischia lo stesso Juan Manuel: sua la prima muta di maglie bianconere arrivata dal San Isidro 86 anni fa. L'allenamento dei legionari, insomma, Appia Rugby-Colleferro, è finito e già fumano nei piatti i maccheroni con le spuntature del terzo tempo preparati dalle mamme. Un'altra distribuzione di rancio all'ombra degli acquedotti, come 2000 anni fa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero