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L’avversario da battere, per capire se Alex Schwazer potrà o no riaprire le porte delle Olimpiadi, adesso è il tempo. Sempre lui. Sulle strade di gara così come nelle aule dei tribunali. Il conto alla rovescia per cancellare la squalifica di otto anni infertagli nel 2016 è già iniziato. Un’altra lunga marcia e pochissimi mesi per tagliare il traguardo. Diciamolo francamente: servirà un’impresa. Non impossibile. Soprattutto se il mondo dello sport sarà suo alleato. Il primo a farlo è stato il presidente del Coni, Giovanni Malagò giovedì, subito dopo il pronunciamento del Gip di Bolzano, ha chiamato Alex e il suo allenatore Sandro Donati. Un modo per esprimere felicità ma anche far capire che per Schwazer un posto per Tokyo c’è. «Il Coni ha sempre seguito con discrezione e serietà questa vicenda e continuerà a farlo con attenzione e interesse, monitorando e valutando possibili sviluppi a tutti i livelli perché è un dovere per tutti i protagonisti di questa storia avere chiarezza e fugare ogni dubbio al fine di non lasciare ombre e sospetti di cui sicuramente lo sport non ha bisogno».
TRE STRADE
Schwazer, Donati e il legale Brandstaetter sono decisi ad andare avanti con la stessa fiducia che li ha accompagnati in questi 4 anni e mezzo. E ora anche con la forza di aver visto finalmente riconosciuta la verità: Alex non si è mai dopato nel 2016. Da ieri l’avvocato bolzanino è al lavoro per capire quale strada intraprendere. Al momento ce ne sarebbero tre con una possibile quarta via. La prima porta al Tribunale arbitrale dello sport di Losanna. D’altronde è l’unico che può ribaltare una sentenza emessa dallo stesso Tas. Per fare ricorso il marciatore di Vipiteno dovrà portare nuovi elementi. La sentenza arrivata da Bolzano è un buon punto di partenza. «E’ una assoluzione con formula piena di cui non si potrà non tenere conto» sottolinea l’avvocato Brandstaetter. La seconda strada porta al Tribunale federale elvetico. In entrambe i casi il problema restano i tempi lunghi della giustizia. Una terza possibilità è quella che porta direttamente alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. A novembre ci si è rivolta anche la Semenya ricorrendo contro la federazione di atletica mondiale che aveva introdotto delle norme ad hoc che subordinavano la sua partecipazione alle gare di mezzofondo all’assunzione di farmaci per abbassare il livello naturale di testosterone. Infine c’è l’idea di chiedere la grazia al Cio, magari con l’aiuto del Coni. In questo caso bisognerebbe portare una istanza gerarchica al Comitato internazionale come organo supremo del governo sportivo. Via complicata da battere visto che il Cio dovrebbe ribaltare non una sua sentenza ma una del Tas.
IL MURO WADA
Come detto sarà un’altra battaglia durissima.
Il Messaggero