Hanno più o meno la stessa età e, forse, il medesimo destino. Patrik Schick è del ‘96, Krzysztof Piatek del ‘95, entrambi sono inseriti in un...
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L’ultima giornata di Bundes li ha visti uno contro l’altro, un gollonzo per Patrik e un rigore trasformato, con tanto di esultanza da pistolero, Krzysztof. Al di là del rendimento complessivo, Schick e Piatek almeno giocano e si divertono, svolgono il loro lavoro. Da due settimane, mentre il loro vecchio nido, l’Italia, sta discutendo sulle date della tanto attesa ripartenza. Meglio loro, insomma, che noi. La Bundesliga è la terra della resurrezione, un po’ per tutti. Sia per il campionato, sia per certi calciatori che da quelle parti vivono senza pressioni. Schick, otto gol in questa stagione, spesso da panchinaro ne è forse la dimostrazione più eccellente. Il classico ragazzo che ha bisogno di fiducia, che non sa sgomitare e che a Roma ha sofferto troppo le esclusioni, senza mai reagire, in più con tanti infortuni; Piatek ha sofferto le pressioni di Milano, una piazza che vive di nostrlgia, di quel grande Milan che fu e che ora non è più. E ora mettici pure la maledizione della maglia numero 9, che da Inzaghi in poi non ha trovato più padroni e ha ingoiato tutti, compreso il promettente asso polacco. Arrivato a Milano dopo gli squilli di Genova, Krzysztof è annegato e oggi ritrova un po’ di buon umore: è andato via dal Milan dopo 41 presenze e solo 16 reti. La strada è ancora lunga, due reti (entrambi si rigore) negli ultimi sei mesi non sono in grande bottino, ma è già qualcosa. Patrik, meglio, dopo che a Roma aveva lasciato 8 reti in 58 gare. Anche perché la sua militanza in Germania è più lunga, quasi un anno. Il Milan al massimo potrà mangiarsi le mani, ma intanto gode dei 27 milioni che l’Hertha ha pagato per Piatek, mentre la Roma può ancora monetizzare visto che il Ceco è lì in prestito oneroso con riscatto già fissato. Adesso si tratta sullo sconto, minime situazioni in epoca di coronavirus. Ma la verità è che la Roma, Patrik, ha deciso di perderlo già un anno fa. E la sensazione è che alla fine siano tutti contenti, calciatori e club. E buona pace per ognuno, senza rimpianti. Perché evidentemente non poteva andare diversamente. in questo caso, per colpa di tutti. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero