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AUGUSTA (Georgia) – È Scottie Scheffler il vincitore del Masters di Augusta e con lui il golf mondiale scopre un nuovo autorevole padrone. Il ragazzone texano dalla faccia pulita e dai sentimenti nobili replica il successo del 2022 e lo fa alla sua maniera: lasciando poco spazio alle velleità degli avversari, confermando una qualità di gioco superiore e una tenuta mentale fuori dal comunque. Si assicura la prima moneta di 3 milioni e 600mila dollari, su un montepremi di 20 milioni, e rafforza la leadership nel ranking mondiale.
Solo due anni fa era un quasi sconosciuto. Da febbraio 2022 un’impennata imperiosa: 3 vittorie prima di indossare la Giacca Verde. E oggi è qui a fare il bis, con una superiorità indiscutibile. È arrivato al Masters ancora una volta carico di successi nelle gare importanti come l’Arnold Palmer e il The Players; quando non ha vinto si è classificato secondo o terzo e se proprio gli ha detto male ha chiuso al 17° posto. Insomma, numeri da fenomeno autentico. C’è qualcuno che oggi possa contrastare tanto dominio? All’orizzonte non si vede nessuno e la spaccatura tra Tour tradizionali e Liv di certo non aiuta.
Scheffler è partito subito forte nel primo giro. A -6 metteva in guardia Bryson DeChambeau che lo precedeva di un colpo. Nei due turni intermedi ha tenuto senza strafare, anche nel vento forte di venerdì (71 72), prima dell’affondo nel giro finale chiuso con 68 colpi, per uno score di -11 da mettere sottochiave nella propria bacheca e affidare alla storia.
A fare da contraltare al trionfo di Scheffler, la stranezza di una classifica che Tiger Woods all’ultimo posto. È una triste realtà, ma in questo caso vanno considerate tutte le attenuanti. Che potrebbero anche ribaltare il giudizio. Per il più grande giocatore dell’era moderna – e forse di tutti i tempi – si è trattato del primo torneo giocato per intero dopo molti mesi, presenza che gli ha permesso, comunque, di stabilire con 24 il record di tagli consecutivi al Masters. Dal terribile incidente del febbraio 2021, solo 7 apparizioni, alcune delle quali neppure portate a termine. Difficile pretendere di più. Non è un caso che i giri migliori siano stati i primi due (73 72), prima di cedere in quelli finali (82 77), per un +16 che suona come un errore, ma che tale non è. Non ci sarà più una normalità, ma solo un lento riavvicinamento a una condizione accettabile. Bisogna farsene una ragione. Il resto lo farà la sua classe, che non è stata certo scalfita. Nei piani di Tiger, per ora, ci sono solo i major e tanto lavoro per arrivarci al meglio. In caso contrario saprà solo lui qual è la cosa giusta da fare
Di delusione autentica, invece, si deve parlare per due dei giocatori più attesi. Riuscirà mai Rory McIlroy a interrompere il sortilegio che lo lega ai major, che non vince da 10 anni, e al Masters in particolare? Per completare lo slam gli manca solo la Giacca Verde e non c’è verso di indossarla. Ha buttato via l’occasione nel 2011, quando era primo sul tee della 10, ma fece un disastro e finì 15°. Poi un 5° e un 2° posto (staccato dal vincitore) e niente più. In questa edizione non è mai entrato in partita e ha chiuso malinconicamente a +4.
Peggio di McIlroy, è riuscito a fare il campione in carica Jon Rahm firmatario di un pesantissimo +9, stesso punteggio del connazionale Maria Josè Olazabal che qui però giocava nella categoria campioni del passato e che dunque può essere ben fiero del risultato. Per Rahm si trattava della prima apparizione dopo il sorprendente passaggio alla Liv e primo impegno sulle 72 buche contro le 54 tipiche della lega araba. Per carità, è solo un indizio, non è certo una prova. Di sicuro però non è stato un buon biglietto da visita, considerato che il suo è stato clamoroso, e ha cambiato radicalmente gli equilibri, con tutte le polemiche che ne sono derivate. Ma il golf di oggi è questo: vive una dolorosa scissione. Salvo ricompattarsi, temporaneamente, al Masters e negli altri major. Non può durare.
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