A E’ come se il passato non contasse più, come se gli esami non finissero mai. Ed ecco che Maurizio Sarri (Juventus), Carlo Ancelotti (Napoli), Antonio Conte (Inter),...
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IL BELL’ANTONIO
Conte più o meno si è messo sulla stessa strada. Perché il nome è un richiamo forte alla vittoria: il suo percorso parla chiaro, la sua faccia arrabbiata pure, il suo ingaggio lo dimostra. Lui è un top: all’Inter per farla risorgere e per scalzare la sua Juve dallo scalino più alto del podio, questa la mission. L’Inter è costruita su Conte, quindi per arrivare al successo, subito, come se le distanze siderali dalla Juventus si fossero annullate in un’estate. Dopo un mese di disturbi (il ritardo di Lukaku, il no di Dzeko), la squadra piano piano gliela stanno facendo, Sanchez sicuramente è un ottimo rinforzo (il caso Icardi non è stato ancora risolto). Ora tocca a lui non fallire. Perché il secondo posto lo sarebbe, perché la differenza da terzo di Spalletti sarebbe quasi impercettibile. Lo stesso, e forse di più, vale per il Napoli, già secondo lo scorso anno, senza faticare. Ad Ancelotti non puoi non chiedere il successo, perché Carlo ha vinto ovunque, sempre, in ogni condizione. Compito difficile, non impossibile: il Napoli non si è impoverito, ha comprato (Manolas, Lozano) e comprerà ancora.
IL RESTO DEL MONDO
Siamo agli allenatori dipendenti di presidenti ambiziosi, di quelli che pensano di averti messo in mano una Ferrari. A un livello più basso, ma nella stessa situazione si sono cacciati i vari Gasperini, Fonseca, Inzaghi e Giampaolo. Dei tecnici elencati, i nuovi - delle prime sette in classifica - sono solo Conte, Sarri, Fonseca a Giampaolo, ma come detto non c’è l’attenuante del noviziato. Perché se per la Juve, vincere, è l’unica cosa che conta, per Fonseca e Giampaolo è un dovere. A prescindere. Roma e Milan sono società che vivono al limite dell’equilibrio di bilancio e vincere significa andare (tornare) in Champions. Quel quarto posto scoperto (dando per scontato che le prime tre posizioni siano già assegnate) deve essere il loro. Eh, scontato per niente. Fonseca sta ricostruendo e ci vuole tempo, idem Giampaolo. Inzaghi parte da una base solida ma la Lazio non ha fatto, nel mercato, quel doppio salto di qualità. Eppure se Inzaghi non raggiungerà il quarto posto (nella gestione Lotito c’è riuscito, una sola volta, Delio Rossi) nessuno gli dirà, «tranquillo non avevi una squadra da Champions». Anzi. E che dire di Gasperini? L’impresa l’ha fatta, ora la deve solo ripetere. Dall’Atalanta ci si aspetta che lotti fino alla fine per una posizione nobile, che possa riportarla in Champions. Sette allenatori sul filo, molti di loro, i più giovani ovviamente, si giocano un pezzo di credibilità, sempre sotto pressione. Ed ecco come in questa situazione di tensione collettiva possa scapparci una o due sorpresa, di squadre e allenatori che non hanno nulla da perdere, al contrario dei loro colleghi. Ci viene in mente il Torino di Walter Mazzarri, la Sampdoria di Eusebio Di Francesco. E chissà, il Cagliari di Rolando Maran, che sta vedendo formarsi una buona squadra. Ma qui già siamo, forse, al fantacalcio. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero