Russia 2018, la lunga mano di Deschamps: ecco il marchio di fabbrica della Francia

Russia 2018, la lunga mano di Deschamps: ecco il marchio di fabbrica della Francia
È dovuto andare in Spagna per giocare. A 14 anni. In Francia lo scartavano regolarmente a tutti i provini. Troppo piccolo ed esile, dicevano, non ce la farà mai. Per...

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È dovuto andare in Spagna per giocare. A 14 anni. In Francia lo scartavano regolarmente a tutti i provini. Troppo piccolo ed esile, dicevano, non ce la farà mai. Per sua fortuna gli osservatori della Real Sociedad di San Sebastian hanno avuto la vista lunga. A renderlo un giocatore importante ci ha pensato poi l’Atletico Madrid. Ieri Griezmann è stato l’uomo partita della finale mondiale e si è candidato anche alla conquista del Pallone d’Oro 2018.


L’averlo trascurato, per quanto solo da ragazzino, è stato forse l’unico errore commesso dalla Francia, come sistema calcio nel suo insieme, negli ultimi 25 anni. In genere, a loro i giovani talenti non sfuggono mai. Li trovano e li coltivano, formandoli come calciatori e come uomini, grazie al sistema dei Centri federali e al loro rapporto con i vivai dei club. Gli allenatori poi non hanno paura di farli giocare. Anche da teenager. E non soltanto se sono fenomeni evidenti come Mbappé. L’età media della Ligue 1 è di 25,3 anni, la più bassa fra tutti i campionati importanti d’Europa. Pure ai Mondiali la Francia era la squadra più giovane, con la Nigeria: 25 anni e 10 mesi, considerando i giocatori in campo almeno una volta. Soltanto il Brasile 1970, nella storia, ha vinto il titolo con una rosa appena più giovane: 25 anni e 9 mesi.

Gioca un calcio moderno la Francia. Riduttivo assimilarlo al vecchio gioco all’italiana. Non è solo difesa e contropiede. Sì, la squadra spesso si ritira nella sua metà campo ad aspettare gli avversari: li attira in trappola e poi riparte al contrattacco con tanti giocatori, con azioni le più rapide possibili. Fisicità e velocità, le caratteristiche principali. Il gesto tecnico con il motore al massimo dei giri, che è il marchio di fabbrica di Mbappé, è anche ciò che rende di Pogba un centrocampista unico, una piovra che allunga i suoi tentacoli sugli avversari e poi si scatena personalmente o lancia i compagni ad attaccare gli spazi. La struttura fisica della squadra, la sua esplosività, rende impossibile l’applicazione dei canoni del calcio champagne, cui i francesi sono ancora legati. Quelli, per intenderci, che dei tempi di Platini, Giresse, Tigana. Deschamps è stato bravo a capire che doveva cambiare i principi di gioco, a costo di essere criticato dai suoi connazionali che lo rimproverano, l’hanno fatto anche durante questi Mondiali, di non dare abbastanza spettacolo.


L’ossatura della squadra, oltre alla sua freschezza, alla forza dei giocatori rimasti a casa (Benzema, Rabiot, Kondogbia, Payet, Martial, Lacazette), ai ricambi che si profilano all’orizzonte, fa pensare che questa Francia possa aprire un ciclo simile a quello Spagna del Tiki Taka capace di vincere in quattro anni Europei, Mondiali e poi ancora Europei. Lloris, portiere solido, nonostante l’errore di ieri; Varane, difensore formidabile; Pogba, prototipo del calciatore a tutto campo del XXI secolo: la spina dorsale della squadra è eccezionale, manca forse un centravanti più in confidenza con il gol, anche se il lavoro di sponda di Giroud è stato fondamentale per le incursioni dei vari Griezmann e Mbappé. Fra i titolari della finale soltanto Mbappé attualmente gioca in Francia, ma la Ligue1 è comunque un campionato in crescita, tanto che i suoi diritti televisivi valgono già più di quelli della Serie A. Abbiamo solo da imparare.
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Il Messaggero