Rieti e la Scozia, tutta la città in festa per il rugby nell'Epifania di 23 anni fa Foto

Rieti e la Scozia, la grande festa del rugby nell'Epifania di 23 anni fa
Le cornamuse, il problema erano le cornamuse in quel frenetico dicembre del 1995 a.C. (ante cellulari e ante, pure, Internet), trascorso notte e giorno fra telefonate e fax con...

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Le cornamuse, il problema erano le cornamuse in quel frenetico dicembre del 1995 a.C. (ante cellulari e ante, pure, Internet), trascorso notte e giorno fra telefonate e fax con Edimburgo, Londra e persino Dunedin, enclave scozzese in Nuova Zelanda.


Ma non c'era niente da fare: il battagliero e struggente inno Flower of Scotland era stato scritto solo per le cornamuse che però non erano, e non sono, fra gli strumenti della Banda dei Carabinieri. E il 6 gennaio si avvicinava.

«A Ricci Bi' (a Rieti si taglia corto, niente ...tti) c'è da organizzare Italia-Scozia il giorno della Befana», aveva tuonato Mimmo Ubertini in settembre, un ordine inappellabile data l'infrangibilità della fratellanza tra rugbysti. Impossibile dirgli di «no», calamitati dal suo entusiasmo cancella-ostacoli. Dategli le Olimpiadi da organizzare e Mimmo vi organizza anche quelle. E bene.

Dunque Italia-Scozia al neonato stadio Centro d'Italia, al tempo con unica tribuna. Che fortuna: in quale altra città mi sarebbe capitato di vedere insieme Massimo Giovanelli, Sandro Giovannelli e Dino Giovannelli, ovvero il capitano della fenomenale Italia di Georges Coste; il patron del Meeting di atletica leggera, una delle realtà per cui vale di più vivere a Rieti; e infine l'anima del rugby reatino soprattutto nei momenti bui, quando c'è da fare buchi nella cintura.

Per Italia-Scozia, Mimmo & Co. rimediarono anche un rosso autobus a due piani di Londra che stazionò in piazza Battisti. Difficile immaginare un test match incorniciato meglio di quell'Italia-Scozia, orchestrato quando l'Italia poteva solo sognare di essere ammessa al Sei Nazioni. Quando ancora non eravamo abituati a questi confronti internazionali, figuriamoci poi nella remota Sabina.

Rieti venne travolta dall'entusiasmo animato da una banda di fulminati che non si arrestò davanti a nulla, a cominciare dall'atavica carenza di pecunia. Gli azzurri e la nazionale scozzese vennero accolti davvero dall'intera cittadinanza, orgogliosa di diventare per qualche giorno centro dell'universo ovale e non solo d'Italia. Il rugby si rivelò ancora una volta il lievito di una comunità in cui negli anni così tante famiglie prima o poi avevano avuto a che fare con questo gioco di combattimento che unisce, vedi anche l'Irlanda adesso in città: solo con la palla ovale l'isola smeraldo schiera da Nord a Sud un'unica nazionale.

In moltissimi, in quel dicembre 1995,  si misero le mani in tasca, altrettanti si rimboccarono le maniche. I giocatori, a cominciare dal condottiero e architetto Giovanelli, infortunato ma al seguito della squadra, e dal capitano scozzese Rob Wainwright, cardiochirurgo, diventarono splendidi e torreggianti ambasciatori del rugby nelle strade, nelle scuole, nei pub e - par di ricordare - in molti cuori delle reatine.

Tutto si stava componendo verso quell’Epifania di mete e placcaggi: stava apparendo ogni dettaglio della complessa organizzazione, meno una cosa, quella maledetta musica dell’inno scozzese. Figuriamoci però se Mimmo si sarebbe rassegnato a mettere su un freddo cd allo stadio.

Venne ingaggiato il maestro Frangiolini, della Banda di Contigliano che, aiutato da una videocassetta, scrisse a orecchio e a tempo di record le partiture per tutti gli strumenti. Roba che nemmeno Beethoven. Poi la banda dei Carabinieri, nonostante tutte le raccomandazioni, suonò quell’inno guerresco con la cadenza rallentata di un inno funebre: la parola Floooooooower durò un minuto sulla bocca degli impettiti scozzesi, prima sorpresi e quindi spazientiti e infine infuriati. Ma di ciò Mimmo e il maestro Frangiolini colpe non ne avevano.

Poi, quel 6 gennaio 1996 arrivò la vittoria degli azzurri, sontuosa, perentoria, inattesa: 29-17, 4 mete a una. Quel successo dell’Italia a Rieti, in uno stadio esaurito (5mila fedeli almeno), in diretta sulla Rai, davanti a molti parrucconi anglosassoni dell’International Board travolti dalla felicità contagiosa dei reatini, aiutò parecchio a far salire le quotazioni della Federugby che chiedeva di essere ammessa al Sei Nazioni. E di Rieti si parlò da Edimburgo a Città del Capo, da Auckland a Buenos Aires.

Ventitré anni dopo la città ospita di nuovo un match internazionale di alto livello e, nonostante l’abitudine al Sei Nazioni dal 2000, l’entusiasmo è lo stesso. E anche le persone: Mimmo e Dino Giovannelli sono ancora lì a sudare sull’ultimo dettaglio, il sindaco - caso più unico che raro - è ancora Antonio Cicchetti, gli enti locali, a cominciare dalla Fondazione Varrone, si sono messi di nuovo le mani in tasca. Di più: alla guida dell’Under 20 venerdì 22 febbraio contro l’Irlanda c’è il romano Fabio Roselli, in campo fra gli azzurri che nel 1996 mandarono al tappeto la Scozia. Allo Scopigno, e prima e dopo nelle piazze e nelle strade di Rieti, ci aspetta una grande festa.


I dirigenti del Rieti Rugby al ricevimento in Comune 



Il ct azzurro Georges Coste al Fassini




Rob Wainwright


L'allenamento della Scozia al Fassini: con i capelli bianchi Jim Telfer, il leggendario giocatore e allenatore di Scozia e Lions, all'epoca team manager del Cardo
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Il Messaggero