Rosella Sensi, 48 anni, aspetta il closing che vedrà sventolare, come 9 anni fa, ancora la bandiera a stelle&strisce. «Tanto diverso da quando andai via io: il...
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Il 18 agosto del 2011 lasciò la Roma agli americani. Oggi si cambia ancora: il proprietario, ma non la provenienza. Ripenserà al suo addio?
«Si, mi viene per forza in mente. Scelta dolorosa, ma obbligata. Non avrei potuto comportarmi in altro modo. Lo devi fare e basta. Ma è come se mi avessero strappato un pezzo di cuore. E ogni volta che ne parlo, ho davanti l’immagine di Francesco».
Si riferisce all’uscita di scena, un anno fa, di Totti?
«Sì, andai a salutarlo di persona al Coni quel giorno che lui non avrebbe mai voluto vivere. Io ho capito subito che cosa ha provato, essendoci passata. La Roma è stata la nostra famiglia. La mia e la sua. L’abbiamo amata. In più non bisogna dimenticare la professionalità. Che, andando oltre al tifo e all’amore per il club, ci ha permesso di centrare gli obiettivi e di raggiungere i risultati. Sono lì, basta aprire gli occhi».
La gestione Pallotta, senza vittorie, ha dunque rivalutato la sua?
«La storia non si cancella. Il futuro, invece, si deve sempre costruire. I veri tifosi della Roma, comunque, non hanno mai svalutato il lavoro dei Sensi. Mi hanno sempre mostrato affetto, pure ultimamente, senza mai sottovalutare quanto fatto da mio padre e da me. E mi hanno commosso».
Che cosa si aspetta da Friedkin?
«Prima ci tengo a dire che mai mi sarei immaginata di non vedere vincere la Roma in questi 9 anni. Ho capito, invece, quale è l’intenzione del nuovo presidente. Ha già garantito la sua presenza, almeno questo avrebbe assicurato. E vedrete che farà la differenza. Da imprenditore, preferisce seguire direttamente il club. Dal vivo. Da tifosa questa partecipazione mi riempie di gioia. E sento che c’è nuovo entusiasmo. I Friedkin già sanno quanto è grande il valore della tifoseria. Fondamentale per arrivare al successo».
L’errore peggiore commesso da Pallotta?
«Non rispondo. Come non ho commentato le falsità e le cattiverie che mi sono state rivolte per 9 anni. La replica migliore è la cronaca di quanto abbiamo visto».
Crede che la nuova proprietà, ereditando una situazione a rischio fallimento, faticherà a far riprendere quota alla Roma?
«Bisogna avere pazienza. Chi entra è chiamato a ricostruire. E serve tempo. Facciamoli lavorare in pace. Nulla è impossibile. Devono, però, individuare subito i collaboratori giusti. Poi se vorranno richiamare Totti e De Rossi, saranno loro a decidere. Non condivido la pressione. Mette in difficoltà pure Francesco e Daniele».
Conosce il nuovo gruppo?
«No, ma mi sono informata. So che sono bravi».
Si augura, dopo non aver mai incrociato Pallotta, di incontrare Friedkin?
«Mi piacerebbe, se capita, dargli il benevenuto. Chiarisco, però: non mi aspetto alcun invito».
Ormai il nuovo proprietario si va a cercare solo all’estero. Perché?
«Il calcio italiano è cambiato. Non è più il nostro. La famiglia Sensi ha lasciato, ma anche Moratti e Berlusconi sono andati via. E a Milano entrambi i club sono stranieri».
Ha mai pensato di tornare?
«No. Al momento faccio la tifosa. E seguo ogni partita, non solo della Roma».
Non va all’Olimpico da più di 9 anni a vedere la sua Roma: con Friedkin si ripresenterà in tribuna?
«Forse. Vediamo. L’ultima volta è lontana: Roma-Sampdoria che chiuse il mio triennio».
A proposito di stadio: il nuovo si farà?
«Ogni club deve averlo. Non so quanto tempo la Roma sarà costretta ad aspettare, ma è giusto che lo abbia. Niente di nuovo: Viola ci provò quasi quarant’anni fa. E subito dopo mio padre e io» Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero