ROMA La temuta crisi del settimo anno sta investendo la Roma e il suo presidente James Pallotta, stanco di assistere ai continui tracolli sportivi (classifica povera della...
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IPOTESI DI ADDIO
Da uomo-business, Pallotta ha sempre delegato la gestione del club a persone giudicate universalmente competenti: prima Sabatini e adesso Monchi hanno avuto un'enorme responsabilità non solo nell'acquistare calciatori, ma anche nel decidere la guida tecnica. Non avendo conoscenze profonde di calcio, Pallotta non può far altro che fidarsi, ma è esattamente questa componente che sta venendo meno (l'unico collaboratore di cui si fida oggi è il consulente Baldini): dopo il disastro di Cagliari il presidente ha pensato seriamente di passare la mano, di dire basta con la Roma, di tirarsi fuori il più presto possibile da un business che potrebbe creargli solo problemi. Rabbia comprensibile, figlia anche di una passione che con gli anni è emersa, lo ha coinvolto e si è consolidata con la semifinale di Champions, ma che difficilmente lo farà andare oltre il pareggio di bilancio: Pallotta non sarà mai il presidente che comprerà Batistuta, Emerson e Samuel per scucire lo Scudetto alla Lazio. Fino ad oggi il patron ha gestito la Roma, ma per scongiurare la crisi del settimo anno è forse arrivata l'ora di essere più presente e magari tentare una pazzia. Andando oltre i conti.
Gianluca Lengua
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Il Messaggero