Roma, 19 anni dallo scudetto di Sensi e Capello tra l'orgoglio per il ricordo e quella sensazione di irripetibilità

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Un’emozione lunga 19 anni. La gioia si dirada nel tempo e a...

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Un’emozione lunga 19 anni. La gioia si dirada nel tempo e a volte viene anche di detestare quel giorno, ormai troppo lontano. Detestarlo perché non più ripetuto, non ripetibile, o forse sì, chissà. Ripetibile lo sarà, ma chissà fra quanto, ed il problema è proprio questo: l’attesa infinita. La gente ricorda sui social quel pomeriggio bollente del 17 giugno del 2001, l’“io c’ero” è un classico, ma quelle stesse persone oggi ricordano con orgoglio si sono anche stancate di festeggiare qualcosa ormai abbandonato alla storia. Il presente e il futuro sono gli assi mancanti. Quel giorno c’ero anche io ma questo importa poco, c’erano tanti colleghi che oggi hanno smesso di lavorare e altri che il destino ci ha portato via. Adesso servirà esserci ancora, presto magari. Tutti. Il problema è che quel giorno, come detto, oggi appare irripetibile e questo non va bene. Perché irripetibili sono gli uomini che sono scesi in campo in quella memorabile stagione: dalla guida tecnica, Capello, all’ultimo dei panchinari, Lupatelli, che è stato in campo poco, ma ha dato il suo contributo, passando per un presidente contestato ma appassionato come Sensi. Altri come Batistuta, Candela, Cafu, oggi non esistono, come non esiste Totti, che sempre un anno esatto fa, ha mollato quei colori, sbattendo la porta in faccia a tutti dopo la conferenza fiume al Coni. Oggi siamo al calciatore anonimo, freddo, al presidente assente, alla dirigenza che lotta contro un ambiente che, all’epoca, ha goduto e festeggiato per mesi e anche oggi, tristemente, si accontenta solo di quel ricordo, e che per la sua passione sarebbe disposto a tutto pur di applaudire un gruppo capace di lottare, anche di perdere, ma di lottare. Siamo all’uno contro tutti di Petrachi, siamo al “va tutto bene” quando bene va poco e niente, siamo all’ennesima ricostruzione che sta per essere riavviata. Un’altra e un’altra ancora, sempre così, senza mai, o quasi, avvicinarsi a quel sogno, rimasto lì, fermo a 19 anni fa. Come una foto.
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Il Messaggero